Ghostwire: Tokyo – Recensione
GhostWire: Tokyo è stata una piacevole conferma (qui le nostre prime impressioni sul gioco). La nuova fatica di Shinji Mikami e del suo team, i ragazzi di Tango Gameworks, si è gettata nel “mischione” di questi primi mesi di un 2022 videoludico scoppiettante, ritagliandosi un posto di tutto rispetto e senza sfigurare, anche dovendosi scontrare con “pezzi da novanta” come Horizon: Forbidden West e soprattutto Elden Ring. Il periodo d’uscita del gioco, pericolosamente vicino a quello di questi due candidati GOTY non ha rovinato l’appeal della nuova produzione a tinte horror, forte di un director che ha dimostrato di puntare con forza su questa nuova IP. Dopo avervi già esplicato le nostre prime impressioni sul gioco, figlie di una lunga sessione in compagnia di Akito e KK, siamo a pronti a tirare le somme in maniera definitiva su quello che, per quanto ci riguarda, è uno dei prodotti più originali degli ultimi anni, ricco di stile e di fascino e con un carattere da vendere, seppur però non privo di limitazioni e problematiche varie, più o meno importanti e rilevanti.
Mettetevi comodi, dunque, il viaggio nella spettrale Shibuya ideata dal maestro Mikami per noi è già terminato, ma per voi è soltanto agli inizi.
Storie di amore, vendetta e redenzione
Del comparto narrativo di Ghostwire: Tokyo vi abbiamo già anticipato parecchio, ma chiaramente, andando avanti con la storia principale e completandola definitivamente, abbiamo ottenuto tanti nuovi elementi, fondamentali per un’analisi più dettagliata e approfondita. Senza entrare troppo nel dettaglio e dunque evitando di spoilerarvi particolari potenzialmente importanti della sfera narrativa del gioco, vogliamo farvi creare un quadro più chiaro sull’opera, tranquillizzandovi prima di tutto, poiché il risultato finale ci è sembrato nel complesso molto positivo.
Ghostwire: Tokyo è infatti sorretto da un impianto narrativo non esattamente originale, almeno non le motivazioni che spingono le varie forze in gioco e nel plot generale, che è oggettivamente parso tutto sommato “derivativo” sin dalle prime battute, ma tutto comunque ha il merito di funzionare a dovere.
In Ghostwire: Tokyo c’è infatti una fin troppo ricca batteria di “cliché”: un super cattivo con motivazioni oscure e manie di grandezza, un protagonista giovane e “acerbo” che matura col tempo e una schiera di comprimari tutto sommato molto stereotipati e poco originali, amalgamati in un contesto a metà tra gli anime e i manga nipponici e le serie tv più recenti, finendo col diventare, nonostante le premesse, interessante e intrigante per tutta la durata.
Ciò è che merito di una regia molto precisa e ben delineata che si serve di poche sequenze animate che spezzano soltanto raramente il ritmo serrato della storia e che riescono a raccontare, senza risultare mai invasive, in maniera “leggera” e intelligente quella che è a tutti gli effetti una storia semplice e priva di colpi di genio particolari, ma che comunque nel complesso ci ha saputo accompagnare degnamente fino ai titoli di coda. Abbiamo apprezzato alcune sequenze veramente particolari, ispirate parecchio ai lavori visionari e spettacolari di Christopher Nolan, che hanno contribuito a rendere diverse sezioni delle piccole perle anche a livello visivo e non soltanto narrativo. I problemi, però, non mancano e si palesano nella fase centrale e finale del gioco.
Arrivati a un certo punto della storia abbiamo avvertito una voglia di “correre” inaspettata e mano mano sempre più evidente, tant’è che quando siamo giunti alla missione finale eravamo incerti se fosse o meno veramente tale, cosa che ha alimentato ancora di più il nostro dispiacere nel vedere arrivare i titoli di coda in maniera troppo repentina. Sia chiaro, la longevità è veramente ottima, ma è proprio perché il “grosso” sembra concentrarsi tutto nella fase iniziale che ci sentiamo in dovere di esternare questa nostra perplessità, che si pone però alla base di un prodotto che, come detto poco sopra, comunque funziona e non stona mai, anche senza mai ergersi a capolavoro dell’inventiva, seppur alcune trovate siano senza dubbio molto interessanti.
Ghostwire: Tokyo è un FPS…magico!
Passando ad analizzare l’aspetto ludico della produzione e in particolare quello relativo al sistema di combattimento, è giusto sottolineare quanto ci siamo sin da subito posti in maniera molto positiva verso Ghostwire: Tokyo e dobbiamo ammettere che ci avevamo visto giusto. La formula studiata dal team di sviluppo ci ha letteralmente stupito per la sua spettacolarità e varietà, specialmente considerando le meccaniche di combattimento, appaganti e mai frustranti e/o banali. La Tessitura, ad esempio, per quanto prenda praticamente il posto di un più semplice e scontato sistema di armi vere e proprie ci ha trasmesso delle ottime sensazioni, sia in termini di feedback e credibilità dei movimenti e dei colpi sia proprio in senso più pratico, rendendoci l’esperienza di gioco decisamente più interessante e frizzante. La scelta di basare gli attacchi di Akito sulle forze elementali, un’ispirazione molto cara alla cultura orientale, sfocia anche nel livello ludico, con le diverse tipologie di colpi che si approcciano in maniera diversa anche pad alla mano.
Per intenderci, un colpo del fuoco richiede un determinato movimento delle mani rispetto a quello del vento, uno è più veloce mentre l’altro magari è più lento, il tutto senza dimenticare le sezioni in solitaria, che diventano più frequenti nelle fasi più avanzate del gioco. Quest’ultime, che vedono Akito sprovvisto di poteri poiché separato da KK, richiedono un cambio di approccio al gioco deciso e repentino, con il protagonista che può fare affidamento soltanto sull’arco e sui Talismani, il cui valore l’abbiamo imparato a conoscere proprio in queste sezioni e in generale con l’arrivo di nemici via via più ostici. Proprio quest’ultimi hanno però subito, dal nostro punto di vista, un piccolo “freno” nella seconda fase del gioco. Se nelle prime ore, anche in termini di varietà estetica e tematica, abbiamo potuto assistere al susseguirsi di tante creature differenti, col passare delle ore il numero di nemici “nuovi” si è abbassato parecchio, finendo per creare, anche a livello ludico, una sorta di routine di azioni e reazioni.
Nel complesso, comunque, il sistema di combattimento di Ghostwire: Tokyo ci ha stupito per la sua originalità, per il suo approccio differente al netto delle ovvie limitazioni generate da alcune scelte principalmente stilistiche, e si piazza agevolmente come uno degli aspetti più riusciti della produzione, a differenza della progressione e del sistema di potenziamento di Akito, piuttosto scarni e poco ispirati. I rami di potenziamento offrono infatti poche soluzioni: è possibile migliorare i vari tratti della Tessitura o le capacità fisiche di Akito così come il suo Inventario, ma tutto ci è parso privo di quella stessa voglia di provare a fare qualcosa di diverso che invece abbiamo apprezzato nel combattimento, risultando complessivamente troppo semplicistico. Anche la gestione dell’open world offerto ci ha lasciato sensazioni contrastanti, seppur più tendenti al bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto.
Esplorare la mappa di Shibuya, come vi abbiamo già anticipato in fase di Anteprima, è sempre divertente e appagante, perché non vi capiterà mai di trovarvi di fronte a momenti morti di sorta. Tra combattimenti necessari per avanzare di livello, la purificazione dei portali Tori e il ritrovamento di Statue Jizo non vi annoierete facilmente in Ghostwire: Tokyo. Il tutto senza contare lo straripante numero di missioni secondarie e di richieste da soddisfare nei confronti dei gatti “speciali” sparsi per la città, tutte molto importanti sia a livello narrativo sia e soprattutto a livello di contenuti di gioco, fondamentali per accrescere sia le tasche sia le abilità di Akito. Quello che ci ha convinto poco dell’esplorazione e dell’open world è il suo essere ancora una volta poco originali e molto ordinarie, in forte contrasto con lo stile unico che pervade la produzione sotto diversi aspetti ma che qui si avverte in maniera meno evidente. Di nuovo, però, non possiamo nascondere che la formula ci ha comunque divertito e non ci siamo mai fermati un istante per le strade di Shibuya, facendoci trascinare senza sosta da un titolo che rimane in tutti i casi “fresco” e leggero, al netto della sua veste audiovisiva e tematica, decisamente meno “colorata”.
Comparto tecnico e artistico: due facce diverse della stessa medaglia
E proprio a proposito di “colori” è doveroso tornare a spendere due parole sul comparto audiovisivo di Ghostwire: Tokyo, un altro aspetto su cui il gioco sicuramente ha puntato molto, senza nasconderlo mai. In linea con le visionarie e spettacolari opere di Mikami e ancor di più rispetto al passato, la nuova IP di Tango Gameworks trasuda stile da ogni poro, e lo si percepisce chiaramente dalle primissime e spettacolari sezioni di gioco. Shibuya è un luogo lugubre e spaventoso, ma allo stesso splendido e coloratissimo, e la sua realizzazione artistica, che richiama con forza alcuni capolavori dell’industria degli anime e manga nipponici, diventa semplicemente ipnotica.
Ci siamo lasciati incantare dagli scorci di una città in lento e inesorabile declino ma allo stesso tempo straripante di creature di ogni sorta, la cui realizzazione ci ha ricordato molto tanto i due The Evil Within quanto alcune recenti opere televisive (Hellbound, Alice in Borderland), in un contesto in cui la tradizione folkloristica nipponica abbraccia con decisione l’evoluzione del concetto di “horror”, tanto caro a Mikami e al suo studio, sempre più in grado di trasportare su schermo un immaginario sempre più contorto e affascinante. Lo splendido lavoro compiuto in termini di art direction si “scontra” però con un lavoro non altrettanto al meglio del suo splendore dal punto di vista della stabilità e della potenza grafica.
Su PS5, sia con un monitor 2K 144hz HDR 10+ sia con un televisore UHD da 43”, non abbiamo mai potuto contare su un frame-rate stabile e, dopo la prima valutazione preliminare, possiamo confermare, avanzando con le ore di gioco, che questi problemi sono piuttosto frequenti, specialmente con le modalità “Qualità” e quelle in generale dedicate alle alte prestazioni (FHS) tutt’altro che performanti. In questi frangenti il frame-rate non riesce a tenere, nelle fasi più concitate, nemmeno i 30fps, finendo per rendere alcuni scontri complessi e artificiosamente più tediosi del previsto.
Discorso diverso per la modalità Prestazioni che garantisce un frame rate molto più elevato ma che comunque non raggiunge i 60fps, divenuti un po’ uno standard attualmente. Abbiamo invece apprezzato moltissimo anche alla lunga il lavoro svolto sul DualSense. Il nuovo pad di Sony riesce a trasmettere al meglio il feedback dei colpi e del movimento di Akito, così come le varie gestualità della Tessitura, e anche a livello sonoro riesce a farsi apprezzare, con gli speaker che lavorano al meglio nel replicare i continui dialoghi tra Akito e KK.
Ghstowire Tokyo si è confermato un prodotto solido, divertente e funzionante. Al netto di qualche mancanza strutturale, figlia soprattutto di alcune dinamiche troppo semplificate, e di una storia che nelle fasi finali sembra voler correre troppo verso il traguardo, la nuova IP di Shinji Mikami ha tutte le carte in regola per risultare un nuovo punto di partenza per la software house e per il suo director, tornati alla ribalta in maniera più che positiva. Certo, anche tecnicamente si poteva fare di più, specialmente in termini di ottimizzazione, ma siamo convinti che chi ha amato i lavori precedenti di Mikami si troverà subito a proprio agio nella Shibuya di Ghostwire: Tokyo, tanto bella quanto minacciosamente oscura. Nel complesso, comunque, vogliamo caldamente consigliare l’acquisto del gioco a tutti gli appassionati del genere, a patto però di riuscire a chiudere un occhio sui difetti sopracitati, riuscendosi così a godere un’avventura per lunghi tratti unica.
Pro
- Mondo di gioco ispirato e carico di fascino
- Tante cose da fare in giro per Shibuya
- La Tessitura è sicuramente una scelta stilistica (e ludica) interessante
- Buon lavoro sul character design, specialmente analizzando i tantissimi nemici
Contro
- Graficamente non al top, specialmente sotto il profilo del frame-rate
- La storia si perde un po' sul lungo andare, diventando più "banale" del previsto
- Meccaniche di gioco poco innovative
- Open world troppo "classico" nella sua struttura