Triangle Strategy – Recensione

Recensito su Nintendo Switch

Tomoya Asano, nel bel binomio Square EnixArtdink, sta tornando su Nintendo Switch con il suo gioco di ruolo tattico di prossima uscita. Stiamo naturalmente parlando dell’affascinante Triangle Strategy, che vestirà gli splendidi abiti 2D HD cuciti ad hoc per Octopath Traveler e che gli calzano a pennello.

È impossibile parlare di Triangle Strategy senza menzionare doverosamente quel Final Fantasy Tactics uscito su PlayStation nel lontanissimo 1997 e soprattutto del suo genitore Tactics Ogre: Let Us Cling Together. C’è tanto del DNA di questi due titoli, patrocinati entrambi dalla geniale mente di Yasumi Matsuno, tanto da definire i toni di quest’opera in maniera indissolubile dai suoi predecessori. E naturalmente qualche sparuta innovazione della formula, atta ad ammiccare a un possibile futuro del genere.

In Triangle Strategy dopo una breve introduzione, ci ritroveremo nel regno di Nortelia qualche decennio dopo la sanguinosa guerra del ferro e del sale, pronti a vestire di panni del rampollo Serenoa Wolffort e del suo entourage ristretto. Come il genere impone, in breve ci ritroveremo a danzare in un vortice di intrighi e complotti medioevali, alla guida di un rivoluzionario esercito restauratore. Potremmo dire molto altro circa la trama di Triangle Strategy ma sarebbero parole inaccurate: infatti il giocatore si troverà davanti a un numero decisamente alto di bivi di trama tra i quali scegliere, tanto da condizionare in base alla propria indole, ogni aspetto e nodo di trama rilevante.

Triangle Strategy - Recensione

Le battaglie, squisitamente a turni, verranno infatti inframezzate da lunghi dialoghi (tra principali e secondari), sezioni di esplorazione libera delle varie mappe e momenti di risoluzione dei bivi di trama tramite la bilancia del casato Wolffort. È proprio grazie alla bilancia che soppeseremo ogni scelta e diramazione, confrontandoci con i sette comprimari dell’avventura. In ogni situazione che richiederà una scelta il nostro party si dividerà in 2 o perfino 3 modi di pensare e agire e starà a noi dialogare con ogni singolo membro dell’entourage per provare a fargli cambiare idea e portarlo dalla nostra parte.

Per poter convincere al meglio i nostri sottoposti, saremo chiamati a esplorare la piccolissima mappa limitrofa di turno, a caccia di dialoghi in grado di sbloccare a loro volta nuove opzioni di dialogo con i nostri subalterni, così da avere più argomentazioni da scoccare come frecce grazie alla nostra oratoria. Ciò che ne deriva è decisamente meno entusiasmante: a ogni bivio di trama sceglieremo il da farsi, andremo a parlare con tutti gli NPC presenti dell’area, collezioneremo informazioni, torneremo a parlare con i membri del party da convincere e senza difficoltà di alcuna sorta, li porteremo a votare per le nostre idee.

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In questo modo la trama procederà nella direzione prescelta senza alcun intoppo. La dinamica della bilancia e del voto di gruppo funziona a meraviglia su carta, ma nella sua declinazione puramente videoludica ciò che ne deriva è né più né meno che un orpello narrativo di poco conto, si limita a svolgere la sua funzione ma nulla più. Il discorso sarebbe stato decisamente differente se i personaggi avessero avuto qualcosa di interessante da comunicare o da esprimere, delle complessità psicologiche da esperire o una backstory interessante da scoprire.

in Triangle Strategy siamo nel regno della didascalia dialogativa pura, dove i personaggi più che uomini e donne partecipi dello struggersi delle loro vite e del regno devastato dalla guerra, esercitano senza colpo ferire delle funzioni di archetipo narrativo. Delle maschere che declinano la loro maschera dell’arte in maniera schietta, diretta, senza alcun tipo di fronzolo o complessità psicologica. Il risultato? La noia. Anzi, il tentativo di scrittura è così patetico da cadere nei luoghi comuni più aberranti del genere, senza mai assumere il coraggio delle proprie idee.

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Peccato, perché le premesse narrative c’erano tutte: la principessa Frederica di stirpe Roseliana (una sorta di stirpe eretica) data in sposa al nobile di un regno lontano, che procede in un percorso di auto-determinismo tanto superficiale da risultare grottesco. Perché quello dei matrimoni combinati è stato, ed è tutt’ora, un problema culturale serio che andrebbe affrontato con la maturità e lo spessore che un dramma di questo calibro impone.

Siamo lontani anni luce dall’efferato, sporco e disperato linguaggio di Final Fantasy Tactics, gettati nel regno del perbenismo cavalleresco che ha un che di Manzoniano. Il popolo che fa da sfondo alla vicende guerresche dei regni in questione è rappresentato tramite un mormorio includente, figlio di cecità assolute e impossibilità di comprensione anche laddove è reso protagonista della scena. La visione borghese del Manzoni della rivolta del pane e l’assalto al Forno delle Grucce, assume un significato culturale prezioso, con il quale allinearsi o battersi. In Triangle Strategy possiamo assistere a una schietta ed esasperante superficialità, irta di luoghi comuni e decisioni sofferte per modo di dire.

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Va specificato che non siamo fanatici della narrativa a tutti i costi, in un action o un picchiaduro sarebbe sciocco soffermarsi a lungo sul tema della narrazione, ma in un titolo che impone una lettura sconfinata di migliaia di box di testo, ci saremmo decisamente aspettati di più. D’altro canto, l’abbondante dose di scelte e bivi narrativi, donano al giocatore una buona libertà di scelta al fine di modificare non solo il finale della storia, ma anche l’inclinamento etico del proprio cammino.

Solo raggiunto il post game vero e proprio avremo la possibilità di vedere in chiaro i valori in termini di allineamento delle nostre scelte, ricominciando il gioco da capo. Ci verranno offerti dei tool in grado di donare maggiore consapevolezza alle scelte compiute, alle unità ottenibili ed esplorare maggiormente le possibilità di snodo della guerra del regno di Nortelia. Tolta la premessa circa la narrazione e le sue meccaniche, è tempo di incentrarsi sul versante gameplay.

Mappe a scacchiera, turnazione delle unità e condizioni di vittoria la fanno da padrone. In ogni battaglia saremo chiamati a schierare un numero sempre crescente di truppe, ognuna ben caratterizzata da un kit di abilità attive e passive che vanno in qualche modo a richiamare le classi canoniche del genere. Dimenticate il mana, perché ogni personaggio userà le proprie mosse, attacchi speciali o magie che siano, grazie al consumo di punti tecnica (PT).

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Guadagneremo passivamente un PT per ogni attivazione della singola unità e starà a noi farne buona gestione al fine di avere l’abilità giusta nel momento di maggior bisogno. Naturalmente ogni personaggio differirà nella velocità di attivazione, resistenze, movimento e quant’altro, al fine di conferire a ogni truppa un’identità concreta. Il sistema di combattimento funziona a meraviglia, splendidamente declinato nelle dinamiche classiche del genere, risultando responsivo e divertente. Un attacco alle spalle sarà sempre critico e colpendo un nemico con un alleato piazzato alle spalle di quest’ultimo si innescherà un attacco a catena.

Se nella prima decina di ore di gioco il sistema risulta divertente e stimolante (ci sono volute 32 ore per completare la prima run), le successive ci hanno fatto un pochino storcere il naso. La personalizzazione dei personaggi è completamente assente, potremo solo farli avanzare nella loro classe specifica (base, avanzata e finale), senza alcuna delle possibilità di sperimentazione e bi-classe offerte della maggior parte dei titoli che hanno affrontato il genere dagli anni ’90 a oggi.

L’avanzare della classe di un singolo personaggio verrà scandita dall’utilizzo delle medaglie al merito e al valore, sbloccabili principalmente grazie agli eventi di trama e andranno solamente a potenziare i valori numerici del personaggio in questione e aggiungere una o due abilità, senza farci “sentire” effettivamente alcuna modifica o avanzamento significativo. Anche il lato equipaggiamenti è piuttosto scarno: potremo infatti solo assegnare un paio d’accessori a testa a ciascun personaggio, senza poter andare a modificarne armature, armi o dir si voglia.

L’arma di ciascun singolo personaggio rappresenta il secondo ramo evolutivo della truppa in questione: potremo evolvere ogni singola arma due volte, a patto di avere i gold e materiali necessari. L’evoluzione delle sopracitate ci darà accesso a qualche attacco speciale a gioco inoltrato e una serie di potenziamenti passivi decisamente dimenticabili, come attacco e resistenza aumentate e così via. Per fortuna Triangle Strategy riesce a proporre una rosa di personaggi abbastanza varia da concretizzare un roster decisamente vario da risultare interessante. Siamo tuttavia lontani anni luce dalla rosa di classe e personalizzazione offerte dai titoli storici del genere.

Il gioco procede tra un evento e l’altro, proposti sotto forma di punti di interesse su una world map mascherata da mappa del regno, sui quali interagire per dare vita a un dialogo e una battaglia. Se volessimo grindare la nostra buona dose di exp, gold o materiali, dovremo recarci alla taverna situata all’interno del nostro accampamento. Parlando con la locandiera, daremo vita a una battaglia immaginaria. Queste battaglie avranno un livello specifico e se ne sbloccheranno di nuove col progredire dell’avventura, tuttavia anche qui la varietà viene assolutamente a mancare.

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Le battaglie immaginarie vanno a riciclare mappe già viste (alcune più volte), proponendo sempre gli stessi avversari di livello predefinito. Ciò che ne risulta è un automatismo meccanico proposto al giocatore, imponendo di rigiocare più volte lo stesso scenario al fine di migliorare i perk delle proprie armi. A impreziosire la formula, la possibilità di acquistare e utilizzare delle carte speciali in grado di produrre vari effetti sul campo di battaglia, meccanica che a lungo andare risulta marginale e poco invasiva.

In Triangle Strategy sono presenti quattro differenti livelli di difficoltà e abbiamo deciso di cimentarci al terzo di questi, che si traduce in difficoltà normale. Il tenore degli scontri non è mai riuscito a impensierirci, tanto da dover ricercare volontariamente il game over per esperirne gli effetti. Una volta sconfitti in battaglia conserveremo tutta l’esperienza guadagnata durante lo scontro, ci verranno restituiti i consumabili utilizzati e sottratti quelli ottenuti.

Triangle Strategy - Recensione


Triangle Strategy poteva essere molto di più, ma si limita a svolgere il compito alla stregua di un esercizio di stile claudicante. Il tenore dei dialoghi rischia di annoiare i giocatori più esigenti, così come la assoluta mancanza di personalizzazione delle proprie unità lascerà a bocca asciutta i generali ansiosi di sperimentare strategie sempre nuove e avanzate sul campo di battaglia. La grande mole di bivi di trama e scelte, invogliano inevitabilmente ad affrontare il new game plus e esplorare a fondo diversi scenari e diramazioni. A fronte di un gameplay asciutto ma funzionale, possiamo asserire che l’enorme fattore rigiocabilità è l’elemento più affascinante dell’intera offerta. Crediamo dunque che l’ultima fatica del team di Tomoya Asano sia un buon titolo tattico da vivere senza troppe pretese, in quest’ottica riesce sicuramente a intrattenere. 

8

Pro

  • Gameplay asciutto e solido
  • Rigiocabilità garantita e incoraggiata

Contro

  • Dialoghi didascalici
  • Personalizzazione assente
  • Scarsa varietà
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