Hades – Recensione
Secondo il poema epico Le Dionisiache, Zagreo è uno dei vari nomi con cui è conosciuto Dioniso, il dio del vino. È frutto di un tradimento inaccettabile di Zeus con Persefone, fatto per questo motivo a pezzi dai Titani e ricostruito da Zeus con una nuova identità. Eschilo invece collega Zagreo alla figura di Ade, nello specifico il figlio di Ade, nato dall’unione tra il dio dei morti e Persefone.
Supergiant Games dà invece corpo al mito di Zagreus con Hades, nuova audace produzione che segue Pyre, Bastion e Transistor, titoli che hanno saputo farsi valere sul palcoscenico indie. Come il drammaturgo greco, lo studio californiano colloca Zagreus al centro dell’oltretomba. Hades, appena fuori dall’early access e disponibile nella sua versione completa per PC e Nintendo Switch, è diventato in poco tempo la punta di diamante di Supergiant Games, incastonandosi nel pantheon videoludico come fulgido esempio dei Roguelike.
Addio, padre
Zagreus è molto diverso dal padre: è giovane e ribelle, mentre Ade è inacidito dal rapporto con i suoi fratelli divini – rei di averlo confinato nell’Oltretomba – e oberato dalle scartoffie quotidiane delle anime a cui presta orecchio. Il piccolo lord ha creduto per tutto il tempo che la madre fosse Nyx, l’incarnazione della notte, ma è una bugia voluta dal padre per tenerlo vicino a sé: la madre biologica è Persefone, che un giorno ha deciso di averne abbastanza del luogo infernale e ha abbandonato i suoi compiti da regina dell’Oltretomba.
Zagreus ha sempre avuto un rapporto conflittuale col padre d’altronde, troppo severo nei suoi confronti, e così il protagonista decide di voler scappare dall’Oltretomba e cercare la madre.
Hades si poggia su una premessa coinvolgente, la cui eco ci accompagnerà per tutta l’avventura del figlio di Ade verso la libertà. L’Oltretomba ha una brutta reputazione: nessuno è mai riuscito a fuggire e la faticosa salita che inizia dal Tartaro è costellata di stanze procedurali, dando a questo roguelike in salsa mitologica un’identità ben definita. Hades ha due pregi: il primo è quello di avere una marcia in più attraverso il “narrative procedural storytelling”, vale a dire che la trama di fondo si sviluppa nonostante i vincoli del roguelike, che per sua natura punta a diventare sempre più difficile salvo poi riiniziare tutto da zero.
All’avere una storia che è destinata a dipanarsi nonostante la morte è collegato il secondo grande merito di Supergiant, e cioè rendere Hades un rarissimo caso di gioco in cui non si sente il sapore della sconfitta. Anzi, in Hades è quasi consigliato perdere questo perché tornato a casa, Zagreus ha la possibilità di potenziarsi in vista di un’altra fuga. La sconfitta in uno dei vari piani che compongono l’Ade, infatti, non fa altro che farlo tornare nella dimora del padre riemergendo da una piscina di sangue. Zagreus in fondo è un semidio ed è quindi logico che sia immortale, e i personaggi che popolano le sale del Sommo sono coscienti dei suoi numerosi tentativi.
A proposito delle divinità ctonie (sotterranee), quando il giovane principe torna inevitabilmente all’ovile fa i conti con la sua famiglia allargata: c’è Hypnos, figlio di Nyx, che ha il compito di far addormentare tutti gli altri; la stessa Nyx, che si comporta come madre surrogata di Zagreus; Cerbero, gigante animale domestico a tre teste da coccolare e infine la divinità ctonia per eccellenza, Ade, che piccato cercherà di far desistere il figlio dal partire di nuovo. I personaggi commentano, consigliano, criticano a seconda delle fatiche di Zagreus e contribuiscono a colorare il mondo tinteggiato da Supergiant.
Non potevano mancare gli Dei dell’Olimpo, che guardano dall’alto verso il basso il fratello addetto ai morti. Essendo Zagreus sangue del loro sangue, gli dei sposano la sua causa e offriranno a turno un potenziamento iniziale legato al proprio elemento all’inizio di ogni avventura: Dioniso per esempio permette di far ubriacare gli avversari, danneggiandoli; Afrodite di indebolirli; l’immancabile Zeus invece dona al principe il potere del fulmine.
Il design dei personaggi di Hades è incredibilmente minuzioso: merito dell’art director Jen Zee, che è riuscita a caratterizzare ogni divinità con una cura dei dettagli estetici che è un piacere scovare, donando a ciascuno una propria personalità: Artemide, seguita da gufi delle foresta, è sempre un po’ sulle sue (d’altronde la caccia è un impiego solitario), mentre Ares con le pitture di guerra tiene il conto delle vittime che miete Zagreus per diletto e così via.
Sulle orme di questa cura infusa da Supergiant nel suo nuovo indie il traghettatore di anime Caronte viene eletto come il mercante di Hades, giustificato nella narrativa come venditore di oggetti persi dalle anime traghettate, mentre alcuni obiettivi sono giustificati dalla Lista del Fato, ovvero una sequela di eventi che sono stati predetti per Zagreus direttamente dalle Moire – come quello di vedere le stelle, ovvero sfuggire dall’Oltretomba: è stato predetto, succederà, basta provare e riprovare.
L’ammontare di dialoghi tra i personaggi è in una parola stupefacente; la casa di sviluppo ha saputo infatti sapientemente dosare le interazioni tra una morte e l’altra, così che anche al decimo incontro con Megera, la prima della Furie, per esempio, i due si scambino frasi diverse. È a tratti spaventoso vedere come il gioco (attraverso i personaggi) segua puntualmente e coerentemente le scelte di Zagreus via dialoghi, il tutto sorretto da un doppiaggio inglese che mette in pratica la gentile impertinenza del protagonista, la spavalderia di Poseidone o la severità di Ade – inoltre, per quanto ci riguarda un’ottima localizzazione italiana che permette a tutti di usufruire dell’opera.
Tutto questo, unito al fatto che la colonna sonora integrale sia stata resa disponibile su YouTube, cortesia di quei bravi ragazzi di Supergiant, denota quanto essi credano in ogni pixel che compone Hades.
Zagreus è morto, lunga vita a Zagreus
Lato gameplay, Hades è un action cangiante in visuale isometrica in cui ci si sposta freneticamente da una stanza all’altra dell’Aldilà, spesso disseminate di trappole, tra mostri vari che si uniscono alla festa a ondate e che, insieme agli Dei, compongono il Codice dell’Oltretomba. Ogni stanza avrà la sua ricompensa e si arriverà così, orda infernale dopo l’altra, ai cancelli di Meg, incaricata da Ade di fermare Zagreus. La proceduralità delle stanze viene spiegata in maniera molto elegante come un sistema di difesa messo a punto da Ade per non permettere a nessuno di scappare, ragion per cui i dei olimpici sono a nostro favore. Zagreus ha la possibilità di scattare, compiere un attacco normale o speciale, lanciare gli emoliti (personalizzabili a seconda degli Dei incontrati) e avere a disposizione una serie di “build” diverse a ogni partita grazie anche alla possibilità di scegliere quale dono ricevere, quale invece potenziare.
Tra i diversi potenziamenti sbloccabili nella dimora, che è a tutti gli effetti il “Santuario del Fuoco” di Hades, Zagreus può prepararsi riflettendosi nello specchio della notte, oppure ordinare la costruzione per abbellire nell’Oltretomba o facilitarne il viaggio, personaggi con cui parlare e da ingraziarsi con il Nettare e soprattutto armi tra cui scegliere: si inizia con una classica spada fino a sbloccarne altre come l’Egida di Zeus (scudo) e altre che sono state utilizzate per sconfiggere i Titani, sbloccate con abbastanza chiavi ctonie.
L’arma scelta sarà quella che porteremo avanti fino alla fine e che avrà anche la capacità di crescere con noi grazie a un potenziamento che discende da Dedalo in persona. Nelle diverse partite che contribuiscono a comporre la macro storia di Hades non abbiamo sentito neanche una volta la rabbia montare nelle nostre mani febbricitanti nel lanciare un controller ma divertimento, appagamento e voglia di aiutare Zagreus nella sua impresa, allontanarlo il più possibile dal padre. Da una run ne nasce inevitabilmente un’altra, senza però quel sentimento di frustrazione che in genere pervade i roguelike. Forse è per questo che Hades è più affine ai roguelite come Dead Cells che a titoli più crudeli come The Binding of Isaac e che per questo è vincente.
Nintendo Switch, da oasi ideale di centinaia di indie, accoglie Hades a braccia aperte sfruttando la possibilità di rendere portatile un gioco procedurale – e quindi lunghissimo – oltre che giocarci su grande schermo. In modalità portatile Hades gira senza sbavature, nonostante sia abbastanza impegnato con Zagreus che scatta da una parte all’altra dello schermo a 60 FPS o giù di lì. È su TV, invece, che il roguelite appare un filo meno curato sul lato grafico, frutto di un upscale non perfetto che mostra personaggi e scritte leggermente sgranati. Non ancora disponibile (ma arriverà nel corso dell’anno) è il cross save, in altre parole ciò che permetterà di collegare i salvataggi tra la console ibrida della grande N con quelli PC, continuando la partita su qualsivoglia dispositivo, portatile o muscoloso che sia. È un servizio non va dato per scontato e che anzi va applaudito, com’è il caso di dare una chance a Hades, dato il prezzo – anche solo per accarezzare Cerbero.
In Hades Supergiant ha spremuto tutta la sua maestria, riscrivendo la formula dei roguelike e narrando le cronache di Zagreus, il figlio di Ade. Incastonato in una storia coerente e che giustifica l’impianto dell’Oltretomba, ha la virtù di arricchirsi a ogni sconfitta ed essere impegnativo senza risultare frustrante. Hades ripesca così un personaggio meno conosciuto dall’immensa mitologia greca circondandolo da divinità sotterranee e dell’Olimpo, prestandosi a numerose partite per sbrogliare la matassa del futuro di Zagreus e sembra destinato a far riecheggiare l’eco dello sviluppatore californiano ancora per lungo tempo, scrivendone il nome nel grande libro degli indie.
Pro
- Un roguelike con una storia
- Perdere non è frustrante
- Cross-save in arrivo
- Portatile
Contro
- Più sgranato con la dock