Bloodstained: Ritual of the Night – Recensione
Quando fu annunciato – cavalcando l’onda del successo riscosso da Inafune con Mighty No. 9 – Bloodstained: Ritual of the Night superò la cifra record di $ 5,5 milioni su Kickstarter; poco importa che appena un paio di mesi dopo Shenmue III abbia settato un nuovo record: questa somma spropositata costituisce la sublimazione delle aspettative che hanno circondato il titolo di Igarashi, che può solo sperare di aver fatto meglio di Inafune a suo tempo.
Scopriamo come se l’è cavata.
Nell’ultima decade il genere metroidvania sta conoscendo una seconda giovinezza (ne abbiamo parlato anche nella nostra rubrica Back in Time), che ha riportato sotto i riflettori l’indimenticabile Symphony of the Night, recentemente riproposto assieme al prequel Rondo of Blood in occasione del venticinquesimo anniversario di quest’ultimo. Ebbene, Bloodstained: Ritual of the Night è sin dal titolo il successore spirituale di Symphony of the Night, ricalcandone pedissequamente la struttura, su cui innesta vari elementi più moderni ma assolutamente ancillari: di fatto, si gioca proprio come l’avventura di Alucard.
Per certi aspetti, la differenza più significativa risiede nella grafica, dal momento che Igarashi ha deciso di abbandonare le due dimensioni a favore di una veste poligonale: chiaramente questo non incide sul gameplay, siamo nell’ambito dei cosiddetti “2.5 D”, come Dracula X Chronicles e Mirror of Fate. Tecnicamente il gioco non ci ha convinto del tutto: nonostante un risultato complessivo soddisfacente, deludono soprattutto i modelli poligonali e le animazioni dei personaggi secondari, oltre ai tempi di caricamento non irrisori e al frame rate spesso in affanno.
Anche sul piano artistico ci sarebbe qualcosa da ridire: al netto delle considerazioni personali, è innegabile che Bloodstained: Ritual of the Night non ha che un briciolo del carisma di Symphony of the Night. Non è spiacevole alla vista (se non nelle cut scene), ma ci sono mob “bizzarri” (per così dire…), diversi passaggi poco ispirati e molti dei più interessanti sono chiare citazioni del gioco di Konami.
Molto meglio il sonoro, grazie al buon doppiaggio in inglese (c’è David Hayter!, N.d.R.), al dual audio e all’ottima colonna sonora di Michiru Yamane, che ha lavorato sulla maggior parte dei Castlevania da Bloodlines in poi (inclusa l’avventura di Alucard, ovviamente). Oltre quaranta brani per un totale che supera le due ore di musica. E che musica!
Il gameplay si rivela quasi una copia carbone di Symphony of the Night, se non fosse per l’aggiunta di numerose meccaniche secondarie moderne, volte ad attualizzare quello che forse è il miglior metroidvania di sempre. La giovane Miriam (che già conoscerete, come la maggior parte dei personaggi principali, se avete giocato a Bloodstained: Curse of the Moon) deve esplorare il castello dei demoni secondo i canoni del genere, stanza dopo stanza, tornando sui propri passi dopo aver acquisito il potere o l’oggetto necessario per superare un ostacolo prima invalicabile. Il level design è molto classico e citazionista, e funziona benone, grazie a una sapiente dislocazione dei punti di salvataggio e di quelli di teletrasporto.
La formula è arricchita da una notevole quantità di contenuti. Le armi sono tante e varie: si spazia dalle spade ai moschetti, passando per gli spadoni e le mazze e senza dimenticare la frusta, da sempre uno dei simboli di Castlevania; sparsi nel castello ci sono numerosi libri che insegnano le relative tecniche. Anche i pezzi dell’equipaggiamento sono numerosi e assortiti, consentendo una notevole varietà di approcci, valorizzata dall’introduzione della Scelta Rapida, che consente di switchare al volo fra più build salvate in precedenza. Anche il sistema di magie è stato ampliato: ci sono, infatti, ben cinque slot per i frammenti magici, cui corrispondono altrettante categorie (ad esempio, una categoria è costituita dai famigli e un’altra dalle abilità passive).
Su queste fondamenta sono stati innestate altre meccaniche secondarie, come le side quest e il crafting di armi, oggetti, frammenti e cibo. Tutte queste cose sono sempre più presenti nei videogiochi vagamente ruolistici, ma non vanno ad apportare un autentico valore aggiunto all’esperienza: le missioni secondarie, in particolare, sono banalissime kill quest e fetch quest, mentre il resto è realizzato con maggior dignità ma si rivela comunque del tutto superfluo. Addirittura, questa elevata quantità di opzioni finisce col rendere fin troppo semplice il gioco in modalità Normale, che, purtroppo, è l’unica disponibile sin dall’inizio; vero è che anche Symphony of the Night non è particolarmente difficile, ma se in questi anni vi siete fatti le ossa su Hollow Knight, Bloodstained vi apparirà come una passeggiata di salute.
Senz’altro questa ricchezza incide positivamente sulla longevità, l’unico aspetto in cui Ritual of the Night è superiore al maestro: una run dura una decina/dozzina di ore, ma ci sono due finali (tre, volendo contare due bad ending) e molti DLC gratuiti, che dovrebbero includere, fra le altre cose, la modalità cooperativa, due nuovi personaggi giocabili e altre modalità.
Bloodstained: Ritual of the Night è un ottimo metroidvania, ma non riesce nemmeno ad avvicinarsi alle vette toccate dal suo ispiratore Symphony of the Night, apparendo subito meno carismatico e ispirato sul piano estetico. Il gameplay funziona, ovviamente, ma forse è fin troppo derivativo: di fatto, i nuovi elementi non incidono in modo particolare sull’esperienza complessiva.
Pro
- Un degno erede di Symphony of the Night
- Ricco di contenuti
Contro
- Graficamente e tecnicamente non convince
- Alcuni elementi di gameplay sono meri orpelli