Darkest Dungeon: Nell’oscurità più profonda
Paura, follia e pericoli targati Red Hook Studios.
Abbiamo imparato a conoscere sin troppo bene la peculiare creatura di Red Hook Studios. Il male, strisciante e antico come il tempo stesso, partorito dalla fervida (e anche un po’ inquietante) mente creativa degli sviluppatori, si è insinuato dapprima nei nostri PC, mettendo alla prova la nostra resistenza allo stress, per poi inseguirci sugli hardware Sony e farsi tascabile infestando i dispositivi mobile targati Apple, con un lavoro di conversione praticamente perfetto. Infine, è toccato all’ultima arrivata in casa Nintendo esaltare le oscure e affascinanti atmosfere di Darkest Dungeon, ospitando i macilenti mercenari in cerca di fortuna nell’oscurità impenetrabile del Dedalo, oppure tra le Rovine di una magione dimenticata da Dio.
L’ennesimo rimaneggiamento, questa volta per adattare il prodotto alle peculiarità della console della grande N, si è riconfermato di ottima fattura, nonostante alcune incertezze (peraltro già avvertite nella versione PlayStation Vita) nella mappatura dei comandi.
La banalità del Male
La creatura (sì continuiamo a definirla così, perché pare esser “cosa viva”) di Red Hook, per quei pochi che non hanno ancora avuto il piacere di trascorrere qualche ora in sua compagnia, si presenta sostanzialmente come un dungeon crawler roguelike che strizza l’occhio alle meccaniche old school dei generi cui vuole rendere omaggio. Il team di sviluppo, però, poggiando saldamente il proprio prodotto su fondamenta solide, ha imbastito una struttura ludica vivacizzata da diverse gradite novità che vanno a pescare da più sotto-generi. Il risultato finale, se date un’occhiata all’accoglienza e ai premi vinti nel corso di questi tre anni, è di assoluto rilievo per un team che, all’inizio, poteva contare solo su una manciata – ben affiata – di ragazzi entusiasti. Ridotta ai minimi termini, la struttura ludica di Darkest Dungeon, si presenta di immediata comprensione: mesce in modo equilibrato elementi ruolistici, gestionali e strategici per proporci una amalgama il cui collante è qualcosa che si rappresenta raramente: l’umanizzazione dell’eroe. Una figura che siamo tradizionalmente portati a percepire come epica e incorruttibile.
In Darkest Dungeon non c’è spazio per questi piagnistei da ragazzini che credono ancora nelle favole. No, i combattenti che reclutiamo e guidiamo in un viaggio (la maggior parte delle volte senza ritorno) verso la scoperta dell’orrore più profondo, sono solo dei poveri e fragili esseri umani, appesantiti da timori, speranze, malattie e strane fobie che possono far la differenza tra la vita e una pietosa morte. La stessa gestione dello stress degli avventurieri diviene un elemento cruciale per far pendere l’ago della bilancia verso una parvenza di vittoria. Sottoposti a traumi o peggio, se lasciati nell’oscurità, i combattenti possono infatti impazzire e dar sfogo alla loro parte irrazionale, sviluppando tratti negativi, autolesionisti e addirittura violenti nei confronti dei compagni. Non è raro, ad esempio, incorrere nell’egoismo della Vestale, che si rifiuta di combattere o curare gli alleati pur di salvarsi la vita. O, ancora, la codardia del Crociato che si rintana nelle retrovie per paura di esser colpito.
Proprio qui si cela l’incredibile colpo di genio dei Red Hook. Il “male” non è più solamente qualcosa di fisico che è possibile epurare assestando precisi colpi di spada, dardi avvelenati o preghiere arcane. L’oscurità è impalpabile e si cela in ognuno di noi; è sempre in agguato e pronta a ghermirci con i suoi scheletrici artigli, per trascinarci sotto terra. Non c’è lieto fine o, se esiste, può esser conquistato solo a carissimo prezzo.
La difficile gestione dello stress
In Darkest Dungeon, quindi, siamo chiamati a gestire una squadra, composta da quattro macilenti “eroi” selezionati di volta in volta tra quelli prezzolati, per condurla all’estirpazione del male che si annida sotto le antiche fondamenta del maniero sulla collina, un tempo appartenente a una nobile casata. Il villaggio, dove troveremo sempre nuova carne da macello di cui servirci, rappresenta l’ultimo baluardo contro l’oscurità che cerchiamo di combattere; un luogo in cui si torna per recuperare dalle fatiche delle spedizioni e curare le afflizioni del corpo e della mente.
Il decadente conglomerato di strutture fatiscenti, abitate da un’umanità ridotta a brandelli, infatti, mette a disposizione degli avventurieri che avranno la fortuna di far ritorno alcuni luoghi per curarsi e scacciare le esperienze disturbanti vissute nel corso delle missioni. Un bordello, un’osteria, un’abbazia e un ospedale psichiatrico permettono di mettere in cura, pagando profumatamente, chi non riesce più a sopportare ciò che l’ha segnato per sempre.
Il sostrato ruolistico si sublima nell’elemento gestionale, costringendoci a non affezionarci troppo ai sodali di cui ci serviamo per raggiungere i nostri scopi. Dobbiamo decidere con cura su quali cavalli puntare, quelli su cui investire denaro e sudore per trasformarli in autentici combattenti da condurre verso la terribile prova finale. Il percorso, però, è disseminato di oscuri dedali, anguste stanze trasbordanti abomini d’ogni sorta che reclameranno ben più di un’anima. Darkest Dungeon è, dunque, un titolo punitivo e difficile ma in grado di regalare immense soddisfazioni a chi riesce a entrare in sintonia con la sua filosofia brutale e poco permissiva.
Il secondo capitolo
Lo scorso 19 febbraio i desideri della sconfinata fan base si sono finalmente avverati. Il male antico di Darkest Dungeon ritornerà in tutto il suo sovrannaturale e purulento splendore per un secondo capitolo. Ciò significa che potremo tornare ad ammirare i tratti hand drawn, scuri e spigolosi, che faranno riemergere con grande potenza la realtà malata e irrazionale narrata magnificamente già nel primo episodio (e, ovviamente, nelle espansioni che si sono susseguite).
Verremo rapiti per la seconda volta dalle campionature sonore d’atmosfera, tese, cupe e ansiogene. Tornerà persino il bieco narratore, dalla voce roca e affilata, che si burlerà delle nostre povere azioni. Nel brevissimo teaser che ha accompagnato l’annuncio del sequel non abbiamo potuto scoprire molto, purtroppo. Sappiamo solo che dai mefitici anfratti sotto la magione il focus si sposterà sul picco di una montagna innevata, che gli avventurieri si apprestano ad affrontare.
Quale male antico sarà sorto questa volta? Cosa possiamo aspettarci sotto il profilo delle meccaniche di gioco? Il team, al momento dell’annuncio, ha dichiarato:
[…] il nostro combat system tornerà ma stiamo facendo una messa a punto in termini di meccaniche e di presentazione. Ancora più importante, comunque, è che stiamo lavorando a un metagame differente. Darkest Dungeon II è un gioco riguardante un lungo ed estenuante viaggio […]
Non ci resta che attendere, goderci una nuova run con la prima avventura e, magari, assistere alla nascita di un nuovo genere. Già, perché sembra che Darkest Dungeon abbia fatto scuola.
Darkest Warsaw
Warsaw è un titolo spuntato un po’ a sorpresa qualche settimana fa. Quello che sembra a tutti gli effetti un “tactical RPG à la Darkest Dungeon” (non solo per genere, anche per le scelte stilistiche), però, avrà un setting totalmente diverso. In un certo senso, anche in questo caso si parla di malvagità. Solo che non sarà “sovrannaturale”.
Warsaw, infatti, sarà ambientato durante i giorni bui della Seconda Guerra Mondiale. Il titolo, peraltro, racconterà una parte ben precisa di quella costellazione di storie sull’ultimo conflitto mondiale che abbiamo imparato a conoscere. La “porzione di guerra” che il team di sviluppo ha deciso di portare alla luce è quella della resistenza polacca all’occupazione tedesca. Diciamo che questa è una storia che non si vede rappresentata molto spesso.
Un progetto peculiare, dal potenziale narrativo e ludico immenso. In più, se la drammatica storia di Warsaw verrà sostenuta ed esaltata da scelte tecniche e stilistiche paragonabili anche solo la metà rispetto a quelle operate dai Red Hook per la loro creatura, sarà una nuova, imperdibile perla da mettere nella collezione.