Il ritorno del RE – Resident Evil 2: due dischi di puro terrore
Correva l’anno 1998 e noi, ancora ignari sommelier videoludici, avremmo presto degustato bottiglie pregiate del calibro di Half-Life, Metal Gear Solid, Oddworld, MediEvil, Forsaken, Guilty Gear e Spyro, fino a prenderci una sbronza di quelle buone, di quelle che il giorno dopo non ti lasciano neanche un filo di mal di testa e ti spingono a rituffarti in quella cornucopia di abbondanza videogiocosa che – sicuramente vi è capitato – senti che ti sta segnando per la vita.
Ma non finisce qui perché il ’98 sarebbe stato anche l’anno dei survival horror, neonato genere che stava letteralmente per esplodere sulla scia del successo di quel capolavoro senza tempo che rispondeva al nome di Resident Evil: uscito due anni prima, nel 1996, il capostipite della saga aveva raccolto il parere entusiasta di pubblico e critica e noi, che ormai in due anni avevamo letteralmente consumato il gioco sulle nostre PsOne, ne volevamo di più.
E Capcom aveva in serbo proprio quel di più: due dischi di puro terrore che avrebbero contenuto Resident Evil 2.
Poco importava che non si stesse poi veramente inventando nulla di nuovo, che l’esperimento di Alone in the Dark avesse già precorso i tempi svariati anni prima e che le rivali di Capcom stessero cercando disperatamente di stare al passo con il neonato trend (come dimenticarsi dell’allora SquareSoft e del suo Parasite Eve, oppure di Sega e del suo Deep Fear, passato fin troppo in sordina su Saturn?): tutti aspettavamo solo lui, quel Resident Evil 2 per cui il nostro hype aveva ormai raggiunto livelli che neanche fossimo di fronte alle tette rimbalzanti di Dead or Alive 2, che però sarebbe uscito solo nel 1999, quindi non divaghiamo e torniamo all’horror.
Resident Evil 2, dicevamo: un seguito da subito pensato per essere più grande, più pauroso, più tutto del suo (comunque sempre immenso) predecessore. Roba non da poco insomma, considerando anche la travagliata partenza del progetto che aveva visto l’abbandono del geniale ideatore Shinji Mikami in favore del giovane game director Hideki Kamiya, oltre che la scissione del team di sviluppo per lavorare contemporaneamente a RE2 e a RE: Director’s Cut. Capcom pareva comunque sapere il fatto suo, e continuava imperterrita a testa alta facendoci sbavare a secchiate con spot TV diretti niente meno che da George A. Romero. E se il papà dei non-morti per eccellenza accosta il suo nome a un gioco di zombie, questo non potrà che essere logaritmicamente tendente alla perfezione, no? In effetti no: Resident Evil 2 avrebbe superato il concetto di perfezione per i canoni dell’epoca, e ne è l’eclatante riprova il nostro essere qui a parlarne a vent’anni di distanza con tutto questo hype per il remake previsto per il prossimo anno.
Perché le tette di Dead or Alive non ballonzoleranno più come un tempo, ma il vero amore (amoRE, n.d.r.) dei giocatori per Resident Evil 2 è qualcosa di immortale.
Se la dimensione del terrore si misurasse in dischi, sarebbe subito chiaro come Resident Evil 2 si prefiggesse di spaventare esattamente il doppio del suo predecessore: due dischi carichi di terrore, con quella laccatura nera tipica dei primi titoli PlayStation che si prestava perfettamente a richiamare l’oscuro mood che avrebbe accompagnato il giocatore durante tutto il corso dell’avventura. Capcom ci aveva visto lungo anche sulle quote rosa: i due dischi erano equamente divisi tra Leon kennedy, il nuovo protagonista maschile, e Claire Redfield, sorella del Chris Redfield che già avevamo conosciuto nel primo Resident Evil. Ed è proprio qui che inizia il bello, perché i due dischi non contenevano semplicemente metà storia ciascuno, ma erano pensati per offrire quattro esperienze a sé stanti me allo stesso tempo interconnesse, tutte completamente diverse, in grado di destabilizzare le certezze del giocatore come nessun titolo era riuscito a fare prima di allora.
Se nel primo Resident Evil affrontare il gioco per due run consecutive significava semplicemente assistere alle rispettive storie di Chris e Jill, le cui avventure si intrecciavano all’interno dell’enorme magione teatro della scena, i due dischi di RE2 contenevano quattro esperienze appositamente pensate per terrorizzare tutti i giocatori che avessero deciso di ricominciare il gioco una volta conclusa la prima partita. In buona sostanza, giocando alla storia di Leon o di Claire per la seconda volta ci si ritrovava davanti a un’avventura diversa: nuovi enigmi, nuovi mostri da affrontare e una diversa collocazione degli oggetti chiave necessari al proseguo dell’avventura sono solo la punta dell’iceberg. L’idea (riuscitissima nella sua realizzazione), era proprio quella di distruggere qualsiasi certezza presente nel giocatore: affrontando molte avventure dopo la prima run si ha sempre quella sensazione di già visto, per cui si conosce la posizione delle chiavi o delle armi più importanti; Resident Evil 2 era in grado di spazzare via queste e altre certezze, rimescolando le carte e regalando al giocatore un’esperienza unica in ognuna delle quattro partite.
Il terrore era così assicurato anche per i meno impressionabili: entrare in una stanza pensando di trovarci un punto di salvataggio, un’arma o un oggetto noto, per essere invece attaccati da uno zombie o spiazzati da un enigma inedito era il vero punto di forza di Resident Evil 2, che così facendo offriva effettivamente quattro run nelle stesse ambientazioni ma, allo stesso tempo, tutte diverse tra loro.
Non abbiamo ancora citato i fondali pre-renderizzati ricoperti di sangue tanto improbabili quanto azzeccati, con la notte di Raccoon City brulicante di non-morti e l’enorme centrale di polizia i cui tetri interni dall’aspetto gotico facevano sembrare Villa Spencer un parco giochi per famiglie: a Resident Evil va il merito dello sdoganamento degli zombie à la Romero nel mondo dei videogiochi, grazie a una Capcom in grande spolvero che in quegli anni d’oro è stata in grado di miscelare sapientemente la paura cinematografica con la componente action più arcade necessaria a declinare il tutto in linguaggio videoludico, condendo infine questo capolavoro con la giusta dose di character design in stile giapponese. Tutto era perfetto, insomma, ed è incredibile come lo sia ancora oggi.
Cara Capcom, inutile dire che ti stai infilando in un gran bel ginepraio, dal quale speriamo vivamente tu sia in grado di uscire a testa alta. Tutte le nostre impressioni su Resident Evil 2 Remake, soprattutto dopo quanto abbiamo potuto provare all’E3 e alla Gamescom, sono positive e infinitamente cariche di aspettative per quello che potrebbe essere inserito nel dizionario come spiegazione della voce “remake”: lo stesso gioco, ma ridisegnato da zero per essere attuale e fare ancora una volta paura, nel senso più divertente e buono del termine.
Per quanto ne sappiamo ora il remake non offrirà le quattro storie, ma solamente le due avventure di Leon e Claire, che comunque dovrebbero presentare quel margine di destabilizzazione dato dalla diversa ubicazione degli oggetti e da alcune zone del mondo di gioco esplorabili solamente nei panni di uno o dell’altro personaggio. Diciamo comunque che tutto lascia intendere che Resident Evil 2 Remake sarà un grande titolo, di quelli che i giovani videogiocatori dovrebbero attendere con la stessa trepidazione che ci illuminava la faccia nel 1998. Noi, allo stesso tempo, dovremmo fare altrettanto, e anche i più scettici dovrebbero accantonare i pregiudizi e concedere a Capcom il beneficio del dubbio, perché qui sicuramente ci sarà da vederne delle belle.