Outlast 2 – Recensione
C’è un luogo oscuro nella nostra mente che desidera morbosamente tutto ciò che il senno rifugge. Si nutre dei terrori archetipi di un immaginario distopico: è la paura del buio, del mostro sotto al letto, di quel suono che giureresti d’aver udito distintamente. Se sei giunto qui forse veterano dell’orrore di Shinji Mikami, sopravvissuto alla silenziosa collina di Keiichiro Toyama, voyeur convinto di Dario Argento, vittima del seducente fascino dell’universo Hitchcockiano o intrappolato in quel polveroso tomo firmato Stephen King: poco importa.
Poco importa se a muovere il tuo passo v’è la disperata ricerca d’esorcismo d’un inquietudine incontrata per errore e mai dimenticata o un irrefrenabile bisogno di quell’intruglio d’orrore, brivido e suspense al quale tanto aneli. Sei pronto a serrare le finestre, indossare le cuffie e gettarti a capofitto in quel masochistico piacere che ben ricordi. Benvenuto nella terribile Arizona di Outlast 2.
Arizona’s horror story
Stiamo vestendo i panni del cameraman Blake in volo sui canyon dell’Arizona con la compagna Lynn, intenti a indagare sulla misteriosa morte di Jane Doe, strangolata in ospedale. D’un tratto l’avaria, le urla e il veloce precipitare. Sopravvissuti al crollo, feriti e armati solamente della fedele camera alimentata a batterie, un solo pensiero ci attanaglia: dov’è Lynn? Giù a ruzzolare per gli impervi pendii della montagna, quando l’orizzonte svela un villaggio.
Rincuorati dalla rurale visione ci addentriamo nella periferia campestre di Castle Gate in cerca di soccorso. Gli altoparlanti montati sulla chiesa che sovrasta il villaggio gracchiano un raccapricciante annuncio: la madre dell’anticristo è precipitata dal cielo, incinta e pronta a dar luce all’apocalisse. Messi in guardia dalla follia appena udita ci rendiamo conto che i simpatici paesani ci stanno dando la caccia, ci accovacciamo e procediamo circospetti, dobbiamo salvare Lynn a ogni costo.
Outlast 2 si propone sui nostri monitor come un’incessante corsa su binari ben definiti, braccati da orde di fanatici religiosi e mostruosità, acciecati dal buio e confusi dalla nitidezza dell’orrore che si appresta a farci a pezzi. Come visto nel precedente capitolo, il gameplay centralizza l’uso della videocamera come fonte primaria di sopravvivenza. Grazie a essa potremo vedere al buio tramite l’utilizzo della visione notturna e apprendere il posizionamento dei nemici grazie al microfono direzionale, grazie a un Hud poco invasivo che segnalerà le intensità foniche nei dintorni.
Il filtro visivo della camera imposto sulla soggettiva che impersoniamo, con la costante spia della batteria in esaurimento, risulta essere un ottimo espediente atto a mantenere alta la tensione anche la dove non ve n’è la necessità effettiva.
I ragazzi di Red Barrell sono inoltre riusciti a confezionare un prodotto mai ripetitivo senza discostarsi dal binomio vincente della fase stealth seguita dalla corsa a perdifiato. La varietà delle situazioni da cui saremo travolti è impressionante: passeremo con rapidità dal farci largo fra la boscosa quarantena degli appestati alle tormentate eco di una spettrale miniera, dal dirigere una zattera per delle impervie correnti lacustri allo strisciare tra le varie cabine del bagno di una scuola cattolica.
L’intreccio narrativo degli eventi è infatti segmentato dalla presenza di flashback discontinui, atti a narrare l’infanzia di Blake all’interno di una scuola, teatro del suicidio della sua migliore amica. Sebbene la stesura di sceneggiatura sia abbastanza scolastica, senza lanciarsi verso alcuna iperbole strutturale o presentare capovolgimento alcuno, si fonde perfettamente con le necessità del level design, catturando il giocatore e lasciandolo col fiato sospeso a ogni nuovo scorcio di panorama.
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi
La sceneggiatura incarna tuttavia la maggiore pecca del gioco, impedendo a Outlast 2 d’essere il capolavoro di genere che avrebbe potuto divenire. Nonostante la scrittura matura e convincente dei documenti disseminati per la mappa di gioco, i dialoghi risultano didascalici e il finale della storia è quanto di più banale e al contempo pretenzioso si potesse attendere. Vittima di evidenti buchi narrativi, la trama non riesce a giustificare quanto apparso su schermo.
Tematiche forti come lo stupro, l’infanticidio e la violenza sulle donne perdono completamente di significato quando il mostro smette di essere metafora, vestendo i giullareschi panni della bruttura. Aggiungendo poi la pretesa di riflessione riguardo un protagonista privo d’introspezione, si veleggia veloci verso un finale disastroso e poco credibile.
Il punto più alto della produzione Red Barrels è indubbiamente rappresentato dal comparto audio, con un sound design puntuale che sottolinea ogni movimento di Blake e del mondo circostante con naturalezza e fedeltà maniacali, mantenendo alta la credibilità dell’azione su schermo anche dove la resa grafica delle creature avrebbe fatto storcere il naso del videogiocatore più esigente.
Durante le dieci ore di gioco che la longevità del titolo offrono, per quanto riguarda la versione Pc non si è riscontrato problema alcuno riguardante la stabilità degli Fps, garantendo un’estrema fluidità dell’esperienza. Menzione d’onore va alla fotografia, che seppure altalenante, ha saputo illuminare alcuni scorci con estrema padronanza di linguaggio, regalando dei quadri di rara bellezza.
Ci sono alcune funzionalità di gioco appena accennate e inespresse, delle quali si è davvero sentita la mancanza. Ricorderete sicuramente durante le disavventure del primo capitolo, come si scheggiò il vetro della camera del protagonista, costringendoci a osservare le atrocità del manicomio attraverso una lente frammentata. Un tocco di credibilità che in Outlast 2 è amaramente assente. Eppure durante le prime fasi di gioco, durante un paio di cutscene Blake perde gli occhiali, lasciandoci presagire che in fasi avanzate avremo affrontato fastidiosa e affascinante meccanica.
Niente di tutto ciò. Nonostante mille rocambolesche cadute, crocifissioni e salti della fede, gli occhiali restano al loro posto, così come la camera sopravvive illesa. Che Outlast 2 sia dovuto uscire in fretta e furia, ben prima che fosse completo? Sarebbe una risposta esaustiva all’evidente velocità dei capitoli finali dell’avventura, così come a una trama poco esaustiva, chiusa in tutta furia.
Outlast 2 scorre piacevolmente durante le dieci ore di gioco, catturando il giocatore all’interno di un mondo crudele e feroce, regalando un’esperienza al cardiopalma. Purtroppo la risoluzione degli eventi non è tale da rendere memorabile l’ultima fatica dei ragazzi di Red Barrell.
Pro
- Atmosfera irresistibile
- Gameplay al cardiopalma
- Sound design d'eccezione
Contro
- Scarsa rigiocabilità
- Plot narrativo non all'altezza della produzione