Bioshock – Recensione
Recensire Bioshock è come valutare un dipinto di Caravaggio, una sinfonia di Mozart, una teoria di Einstein, un racconto di Tolkien o un film di Fellini. Grandi nomi, proprio come grande è Kevin Levin, lead designer di questa splendida avventura in prima persona a sfondo horror. Prima di procedere con la recensione mi sembra doveroso partire da un’importante premessa: quando il videogioco incontra l’arte, il prodotto videoludico definisce nuovi standard. Soltanto al di là del confine è possibile realizzare l’essenza che un’opera vuole esprimere, varcando la linea che separa la fantasia dalla realtà, travolgendo con una formidabile sceneggiatura, un superbo concept design e un’atmosfera da brividi. Solo quando un team di sviluppo amplifica un “incipt” semplice e geniale è possibile beneficiare di piccoli grandi capolavori, prodotti destinati a rimanere impressi nella mente di tutti, offrendo un’esperienza fuori dal comune. Un dipinto di Caravaggio sotto i riflettori, su un palco dalla stupefacente scenografia, accompagnata dalla migliore sinfonia di Mozart. Allo stesso tempo fiotti di sangue cadono dal soffitto, cadaveri raggomitolati in angoli bui, un intenso e nauseante odore di morte presente in un immenso acquario illuminato da appariscenti insegne al neon, sulle soglie di enormi stanze arredate da sfarzose tende di velluto. Quando l’arte incontra il videogioco.
Se nelle vostre menti è possibile sovrapporre il primo scenario al secondo, se riuscite a varcare la linea che separa la fantasia dalla realtà, allora potrete apprezzare l’opera e avere una vaga idea di cosa vi aspetta in Rapture. Questa, in fondo, non è arte?
Immersi in una crudele realtà
Oceano Atlantico. 1960. Lo sventurato protagonista è a bordo di un aereo. Fuma una sigaretta e stringe tra le mani un regalo. Poi apre una lettera, una frase dei genitori: “Sei destinato a fare grandi cose”. Avevano ragione. L’aereo perde quota e finisce la sua corsa a causa di un devastante ammarraggio. L’acqua gelida irrigidisce l’intero corpo, ma in superficie spaventose lingue di fuoco illuminano il percorso che porta fino a una scala, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico. In cima alla scala una porta, poi il buio completo. Le luci si accendono gradualmente, lo sguardo rivolto verso un manifesto: “Nessun Dio, nessun Re”. Il protagonista percorre una scala che porta al piano di sotto, fino a raggiungere una batisfera proiettata verso la sua destinazione nelle profondità dell’Oceano. Enormi grattacieli letteralmente immersi fino a toccare il fondo, condotti di vetro illuminati come un acquario al contrario, poi una stanza. Un uomo in preda al panico e avvolto completamente dall’oscurità viene trafitto al torace da una lama. La porta della batisfera si apre.
È proprio una crudele realtà, quella in cui vi troverete. Un tempo la città era uno splendore, e lo è ancora adesso, se solo non vi fossero interi gruppi di esseri poco raccomandabili, che si fanno chiamare ricombinanti, a mettere in costante rischio la vita del protagonista. Rapture è una città interamente costruita da zero sul fondo dell’Oceano, un luogo in cui il “grande” non viene sconfinato dal “piccolo”, in cui l’uomo crede nel valore della catena, mossa da tutti e che muove tutti, in cui ha i diritti sul sudore della propria fronte. Se qualcuno sia mai riuscito a far valere la sua utilità in questo mondo, l’unico luogo in cui potrebbe trovarsi è Rapture. Ogni cosa esistente a Rapture ha un valore, e il valore va inteso nel vero senso della parola. Un uomo di nome Ryan, con la sua Ryan Industries, manda avanti l’economia dell’intera città commercializzando i plasmidi (dei potenziamenti biologici in grado di riscrivere il DNA di un essere umano) fino a fargli possedere delle caratteristiche fuori dal comune, come arrampicarsi sui muri, teletrasportarsi da un luogo all’altro, spostare oggetti con la sola forza del pensiero o controllare il fuoco e l’energia elettrica. Senza plasmidi non può esserci il potere, quindi la profittabilità di un mercato senza confini viene accaparrata (furbescamente) da uomo d’affari che beneficia del favore di scienziati in cerca dell’ultimo potenziamento, con il fine di scalare la vetta della notorietà e della fama. A peggiorare ancor di più le cose ci si mette anche una grande varietà di armi che è possibile acquistare ai Circus Valley, distributori automatici di balestre, pistole, fucili, mitra e proiettili di ogni tipo, manco fossero degli snack al cioccolato. Considerate le premesse, è facile immaginare Rapture come un inferno affondato nell’Oceano. Ma senza l’adam (una sostanza biologica in grado di rendere utilizzabili tali potenziamenti) non è possibile beneficiare dei plasmidi, e qui entrano in gioco le sorelline. Adorabili creature costrette a seguire un crudele destino, quando la loro mente attribuisce la parola “angelo” a un cadavere, quando infilano un lungo ago nei corpi di persone stramazzate al suolo per mandare avanti l’intero meccanismo nato dalla folle mente di Ryan. Ma come può una piccola fanciulla prelevare e trasportare una sostanza così contesa da tutti? Semplice. Le piazzi un bel Big Daddy (per gli amici Mister Bolla) alle loro spalle e il pensiero “uccido la sorellina e mi prendo tutto l’adam per poi potenziarmi” può anche essere accantonato. L’unico modo per farla franca (e sopravvivere) è collaborare con un uomo di nome Atlas (intento a salvare moglie e figlio), che vi terrà costantemente aggiornati, via radio, sulle missioni da compiere. Per farlo sarà però necessario l’adam, e per prendere l’adam sarà necessario avvicinarsi alle sorelline, quindi affrontare il Big Daddy.
Quale sarà la vostra scelta dopo aver sconfitto il feroce Mister Bolla? Prosciugherete la sorellina per prendere tutto l’adam uccidendola, oppure vi accontenterete di una quantità inferiore di tale sostanza in modo tale da liberare la piccola da questo folle destino? Inutile aggiungere che per sopravvivere è saggio armarsi di santa pazienza, attraverso potenziamenti (bio)shockanti e acquistando al contempo le migliori armi in circolazione per eliminare i nemici nei modi più disparati è possibile. Non è certo la varietà, infatti, che manca in Bioshock. Sono finite le munizioni? Che ne dite di lanciare una bella palla di fuoco? Il nemico, mosso da una convincente IA, cercherà la prima pozza d’acqua per spegnere le fiamme sul proprio corpo? Bene, è proprio quello che volevamo! Una bella scarica elettrica che parte dalla nostra mano e vedremo il nemico stramazzare al suolo, friggendolo nel momento in cui l’elettricità verrà a contatto con l’acqua. Ma non è tutto. Avrete la possibilità di congelare i nemici, per poi farli saltare in mille pezzi con un preciso colpo alla testa, creare vortici sotto ai loro piedi per farli volare in aria, spostarli con la sola forza del pensiero e poi spararli una volta in volo. Anche l’armamentario non è da meno, considerata la presenza di lanciagranate, balestre, pistole e lanciafiamme. La cosa che più stupisce in Bioshock, oltre alla sua evidente varietà in fatto di gameplay (e alla sua fantastica scenografia), è che c’è sempre una soluzione a tutto. Basta solo studiare il luogo in cui ci si trova e sferrare un attacco a seconda della tipologia di nemico e dello scenario che vi circonda. Questo fattore rende il titolo spassoso e divertente, nonostante la presenza di una cornice inquietante, claustrofobica e surreale, che vi terrà incollati allo schermo fino alla fine. Il tutto accompagnato da piacevolissime melodie anni ’60 che donano, assieme alla scenografia, quel gusto retrò piacevole da vedere e da ascoltare.
Scoprire il proprio destino
Una delle caratteristiche più importanti di Bioshock è legata alla possibilità di scegliere il proprio destino. Senza svelarvi nulla, possiamo anticiparvi che la trama di gioco è aperta a ogni possibile soluzione. Il tutto consiste ovviamente nel completare determinate missioni che, passo dopo passo, illumineranno il passato di questo misterioso protagonista, attraverso luoghi e personaggi che sapranno sfruttare a loro vantaggio tutto ciò che si ritroveranno a tiro, compresi voi stessi. Scelta morale che, invece, vi accompagnerà costantemente lungo tutto il percorso e che vi porterà (purtroppo) all’inevitabile fine. Bioshock è un po’ come una folle festa mondana, popolato da uomini in maschera armati di lame e mitra, che vi daranno continuamente del filo da torcere. È un po’ come un tragitto da percorrere in lungo e in largo, in cui si rivela necessario aprire una serie di porte in sequenza che vi porteranno verso l’agognata “luce”. Una volta iniziato il giro, difficilmente riuscirete a venirne fuori, considerato il gusto e l’attenzione risposta a ogni semplice elemento che incontrerete durante la vostra (non voluta) visita alla città. Dai manifesti appiccicati ai muri alle insegne al neon, dai corridoi desolati alle case completamente distrutte, dai corpi senza vita abbandonati nel loro stesso sangue ai ricordi che ancora vivono nell’aria e che potrete vedere una volta attraversato determinati luoghi. Una volta dentro realizzerete quanto di bello è stato fatto per la città e come tutto sia degenerato attraverso la strumentalizzazione degli abitanti, che di umano hanno ormai abbandonato ogni cosa. Creature che (negativamente) hanno subito lo shock di una mutazione genetica, ma che non peccano assolutamente in fatto d’intelligenza artificiale, considerata la loro abilità e preponderanza ad avanzare in piccoli gruppi, sfruttando tutti gli oggetti e le armi a loro disposizione. L’unico modo per salvarsi la pellaccia è fare altrettanto, agendo d’astuzia, indietreggiando e affrontarli uno per volta, magari sfruttando a proprio vantaggio le numerose torrette di sicurezza e robot sparsi per i livelli di gioco, che potrete aggirare superando un semplice (ma non troppo) minigioco. Varietà e intelligenza dei nemici, imprevedibilità e storia interessante, il tutto inserito alla perfezione in una splendida cornice, surreale e artisticamente divina.
Purtroppo non è tutto oro ciò che luccica, almeno sulla lucida e “luccicante” PlayStation 3 (versione oggetto della nostra prova), considerati i vistosi rallentamenti che, in parte, minano la piacevole esperienza nelle situazioni più concitate di gioco. Sorvolando su questo spiacevole difetto tecnico, il titolo si difende bene dal punto di vista dei poligoni e della varietà artistica dei livelli, dei nemici e dell’aspetto tecnico in generale, nonostante un eccessivo blur saggiamente utilizzato per coprire quell’aliasing visibile su sfondi e in corrispondenza di luci e ombre. Una versione, questa per la console Sony, meno riuscita della controparte Microsoft, ma che sa in ogni caso regalare una splendida esperienza da vivere a tutti i costi (rallentamenti compresi). Porgete pure i vostri sguardi sulla tela e ammiratene gusto e fantasia. Difficilmente vi ritroverete ancora una volta dinanzi a un’opera del genere; unica e spassosamente coinvolgente.
Pro
- - Surreale
- - Ipnotico
- - Travolgente
Contro
- - La versione PS3 subisce vistosi rallentamenti ed eccessivi tempi di caricamento