Sessismo e videogiochi: adesso basta
Premessa
Di solito non uso la prima persona quando scrivo i miei articoli, tuttavia in questo caso parlerò solamente come Lorena, dato che le seguenti parole sono semplicemente frutto di una riflessione personale, che può non essere condivisa né compresa, ma che spero possa rivelarsi interessante da leggere e da discutere.
Ho notato come il mondo dei videogiochi sia sempre più spesso accostato al tema del sessismo. Raramente si parla di videogiocatori in senso generale, ma si fa la distinzione tra pubblico maschile e pubblico femminile. Ad esempio, quando si parla di videogiochi rudi alla Call of Duty si pensa subito che essi siano dedicati ai maschietti, mentre giochini casual, come il noto Candy Crush, siano rivolti alla femminucce.
Potrebbe essere una visione errata e che potrebbe far arrabbiare le videogiocatrici tradizionali, ma poi, riflettendoci, sarebbe come vedere nelle pubblicità dei Lego o delle macchinine bambine felici che giocano. Farebbe un po’ strano, no? Ciò non vuol dire che esse non potrebbero giocarci, ma è chiaro che una pubblicità, per motivi di marketing, debba riferirsi al suo pubblico maggiore, un pubblico investito da determinate situazioni culturali e sociali. E ve lo dice una che da piccola giocava con i pupazzi dei Power Rangers, oltre che con le Barbie.
Ciononostante, davanti a questi fatti, si smette di pensare e di analizzarli con razionalità, e si cerca il pretesto per poter creare l’ennesimo scontro tra mondo azzurro e mondo rosa. È esattamente ciò che è accaduto con GamerGate: da una semplice love story fatta di invidie, tradimenti e gelosie riguardanti persone legate al mondo videoludico, si è giunti a una vera e propria battaglia che vede nuovamente maschi contro femmine, con tanto di minacce di morte, video di protesta e chi più ne ha più ne metta.
A questo punto mi viene spontanea una domanda: ma è davvero necessario sentirmi offesa dal mondo videoludico in quanto donna? La risposta è no, o almeno non al minimo allarme, e vi spiego il perché.
Tralascio la questione GamerGate, perché la trovo ridicola e imbarazzante, ma mi piacerebbe analizzare altri casi di (apparente) maschilismo.
Niente donne in Assassin’s Creed Unity!
Vi ricordate le critiche nate per la co-op di Assassin’s Creed Unity? Per chi ne fosse all’oscuro, in occasione della presentazione della modalità sopracitata all’E3, in molti si sono lamentati della mancanza di personaggi femminili da utilizzare tra i quattro proposti, arrivando poi a critiche più generiche contro la saga, che ha sempre usato protagonisti maschili sin dal primo episodio. Assassin’s Creed deve quindi essere ritenuto un prodotto maschilista? È ovvio che no. Può essere ricco di tanti difetti, ma sicuramente non lo si può criticare per la riproduzione dei diversi contesti storici trattati. Nel caso di Unity, siamo negli anni della Rivoluzione Francese, quindi fine Settecento. È risaputo che per tutta l’epoca moderna – ovvero dalla fine del Medioevo fino al Novecento – la donna ha avuto un ruolo subordinato all’uomo. Essa era dipendente dal padre, e poi dal marito, ed era considerata priva di qualsiasi qualità intellettuale che le permettesse di partecipare ad attività politiche o semplicemente culturali. Ad esempio, sapevate che le sorelle Bronte avevano assunto pseudonimi maschili per vedere pubblicate le loro opere? E pensate che in questo caso siamo nell’Inghilterra di metà Ottocento.
Nella Francia del 1789 le donne ebbero certamente un ruolo molto importante nella Rivoluzione, non tanto come combattenti in prima linea, quanto come divulgatrici dei nuovi ideali di libertà, uguaglianza, e fratellanza. Ma, nonostante la caduta dell’Ancien Régime, le donne ottennero ben pochi vantaggi. Dovremo poi aspettare il Novecento, secolo in cui si è diffuso gradualmente in Europa e nel mondo il suffragio universale.
Ecco, in questa situazione mi sembra poco credibile vedere una donna girovagare per le vie parigine in cerca di vittime da assassinare, per cui non mi sono sentita offesa dalla scelta del team di sviluppo di utilizzare solo protagonisti maschili. Tra l’altro Lady Oscar non vi ricorda nulla?
Voi potreste benissimo dire che i videogiochi, essendo prodotti di fantasia, possono fare a meno di queste riflessioni e delle attinenze alla realtà. Sarei d’accordo con voi, e certamente mi verrebbe più facile immedesimarmi nei panni di una donna, ma, dal momento che il contesto storico è una delle caratteristiche principali della saga, non mi viene da urlare al maschilismo per questa scelta.
Gli sviluppatori, a differenza mia e della mia pappardella storica, l’hanno giustificata affermando che creare un personaggio femminile per Unity avrebbe allungato il lavoro e avrebbe reso difficili alcune dinamiche di produzione. Una giustificazione che accetto ugualmente, purché il prodotto finale risulti buono.
Nemmeno in Final Fantasy XV!
Quest’ultimo ragionamento è lo stesso che ho fatto riguardo Final Fantasy XV. Anche in questo caso il party sarà composto unicamente da personaggi maschili. Ammetto che quando ho letto la notizia, ho storto il naso, non tanto perché è stato offeso il mio animo femminile, quanto per una questione d’immedesimazione e di gusti personali. Poi però ho cambiato idea poiché, chiacchierando della faccenda con alcuni amici, sono giunta alla conclusione che se la trama del gioco giustifica la mancanza di donne tra i protagonisti, allora non ha senso criticare un prodotto di cui ancora si conosce veramente poco. Quando lo giocherò allora potrò fare tutte le critiche che voglio a riguardo, se giustificate. D’altronde la saga di Final Fantasy, nonostante le amare delusioni che ci ha dato in questi anni, non può essere criticata per non aver dato spazio ai personaggi femminili, e questo in tutti i suoi capitoli usciti sinora.
E le poche protagoniste femminili sono solo oggetti sessuali
Questo è un tema che mi è particolarmente caro. Ho scritto un lungo articolo a riguardo, descrivendo l’evoluzione dell’eroina videoludica nel corso degli anni. Probabilmente l’enorme successo di Lara Croft è derivato anche dalla sue forme pixellose ma sexy, però penso che in tempi recenti, in cui non di rado i videogiochi vengono paragonati ai film per la profondità della trama e per la caratterizzazione dei personaggi, sia sbagliato parlare di donna oggetto. La già citata Lara Croft ne è l’esempio lampante. L’avventuriera che troviamo nell’ultimo titolo a lei dedicato è debole, è immatura, è pavida, per poi crescere durante il gioco, puntando tutto sul carattere e la volontà.
E quali sono le altre eroine simbolo della generazione di console appena trascorsa? Io citerei Ellie di The Last of Us, o Jodie di Beyond per quanto riguarda il mondo PlayStation 3 (forse è anche merito di Ellen Page… in entrambi i casi).
Penso che già questo sia un segnale forte, in quanto le protagoniste di grandi titoli non puntano unicamente sul lato estetico, né risultano insignificanti se paragonate alle controparti maschili. Perché potrei citarvi un’altra Ellie, quella proveniente da Dead Space 2 (non è un personaggio giocabile, ma ha carisma da vendere per trovarsi in mezzo ai Necromorfi), o Sheva di Resident Evil 5.
Eppure, uno degli ultimi titoli di successo usciti recentemente ha per protagonista una femme fatale che uccide angeli coperta dai soli capelli, attraverso coreografie che poco lasciano all’immaginario. Sto parlando di Bayonetta 2.
Personalmente mi sento molto più offesa da quello che viene mostrato nei programmi televisivi, che dalla Strega dai capelli corvini. È un personaggio nato dalla fantasia nipponica, il cui stile non si discosta molto da quello dei manga, e oltre al fisico longilineo ma dirompente vi è un carattere affascinante.
Quello che bisogna capire è il contesto e lo stile che caratterizzano un determinato titolo, perché Bayonetta è anche molto umoristico, così come Lollipop Chainsaw, in cui troviamo la classica cheerleader svampita come protagonista, ma ciò viene trattato con ironia, facendo divertire il giocatore attraverso la parodia di certi luoghi comuni.
Ma la percentuale di ragazze che giocano è in grosso aumento!
Attualmente è tra le notizie più diffuse dai quotidiani, siti online e programmi televisivi. Si intervistano le ragazze presenti agli eventi, si diffondono dati sempre più precisi, ecc. Il problema è che tutto ciò viene presentato come un’eccezione, quasi a voler sottolineare che i videogiochi sono cose da maschiacci, per cui vedere donzelle armate di joypad è da intendere come un miracolo, ponendole quindi in una posizione diversa rispetto al normale.
È vero che ai suoi esordi il videogioco ha ottenuto successo presso un pubblico prevalentemente maschile, ma ritengo che sia inopportuno al giorno d’oggi ritenere le ragazze delle mosche bianche. Godiamoci semplicemente la crescita di questo mondo che tanto ci appassiona, senza dover per forza marcare la distinzione tra giocatori XY e giocatrici XX.
L’autrice di questo articolo in realtà non vive sulla Terra
Dite che sto sottovalutando la cosa? Non saprei sinceramente. Il fatto che la maggior parte degli amici appassionati di videogiochi che ho siano maschi è un chiaro segno di quanto ho detto nel paragrafo precedente. Tuttavia non mi sono mai sentita esclusa da loro, né sottovalutata, non perché io sia una gamer fortissima, ma perché alla base di tutto c’è semplicemente il rispetto. Per cui anche se nei picchiaduro o negli FPS faccio schifo, non importa né a me né agli amici con cui gioco, in quanto conta divertirsi.
E non sapete quanto mi gongolo quando vedo i sorrisini sinceri delle persone appena conosciute che scoprono la mia passione per i videogiochi. Sono nati tanti bei discorsi, dai quali poi sono nate nuove amicizie, sia con ragazzi che con ragazze.
Scrivo poi per Gamesource, in cui la componente femminile è veramente scarsa, ma non mi sono mai sentita svantaggiata rispetto a un collega, né la mia opinione è stata messa in discussione in quanto “sei donna, non ne capisci”.
Insomma, il mondo reale non mi sembra poi tanto pericoloso per una gamer, soprattutto se paragonato all’intricato mondo virtuale.
Ammetto che giocare online non è tra le mie cose preferite. Nonostante la mia giovane età sono abbastanza tradizionalista, in quanto adoro giocare da sola, prestando particolare attenzione alla trama e ai personaggi. L’esperienza multiplayer più longeva che ho avuto è stata con LittleBigPlanet, ma l’atmosfera adorabile non permette insulti o vigliaccherie varie. Di conseguenza non mi sono imbattuta nei classici nerd che insultano ragazze in quanto tali. Probabilmente me la prenderei a sentirmi dire “go back in the kitchen” o “show your b00bs”, ma poi, riflettendo, internet è il modo in cui poter esprimere tutti i luoghi comuni possibili e inimmaginabili. Razzismo, sessismo, bigottismo, e tutti gli -ismi più brutti che potete pensare caratterizzano il web. A tal proposito, ho frequentato per anni forum a tema videoludico, in cui ho fatto le peggiori litigate, principalmente non per il mio status di donna, piuttosto per discussioni su cosa era meglio tra Final Fantasy VII o Final Fantasy VIII, o se era il caso di apprezzare o meno Raiden in Metal Gear Solid 2. Ovviamente non sono stata esente da insulti da parte di vari utenti, alcuni dei quali, per mettermi in difficoltà, iniziavano interrogatori su vecchie glorie del passato per pavoneggiarsi e umiliarmi poiché, secondo loro, essendo donna ho iniziato a giocare ieri, come se i titoli che abbiamo giocato e finito facessero parte di un curriculum di cui potersi vantare. Oppure ho letto di commenti ai miei articoli con critiche prive di fondamento, ma colme di parolacce solo per il gusto di sentirsi superiori.
Ma ricordate – mi riferisco soprattutto alle lettrici che hanno provato queste esperienze – che è proprio in questi casi che serve calma e razionalità, in quanto è risaputo che dietro a uno schermo siamo tutti più spavaldi e soprattutto superbi. Non bisogna provare nulla a nessuno, specie se manca quella cosa che è caratteristica tra i giocatori del mondo reale, ovvero il rispetto.
Dopo questa lunga riflessione derivata unicamente da esperienze e pensieri personali, non vorrei apparire come una sognatrice che interpreta il mondo in maniera utopica, né vorrei fare la superiore che non si schiera, come il classico tipo su Facebook che critica sia coloro che si lamentano di una cosa, sia coloro che si lamentano a proposito di coloro che si lamentano di una cosa.
La disparità tra i sessi esiste in molti ambiti, anche se siamo nel 2014. Tuttavia penso che far notare che il numero delle videogiocatrici è in crescita come se fosse una sorpresa, lamentarsi delle scelte dei team di sviluppo, vedere nelle eroine dei videogiochi la rappresentazione dei luoghi comuni e forzare le interpretazioni, sia come dichiarare lo stato di vittima in quanto donna.
Il mio consiglio è quello di non farsi prendere dalle emozioni, ma di analizzare caso per caso con razionalità, e perché no, anche documentarsi. D’altronde, come diceva il grande storico inglese Eric Hobsbawm “capire tutto è perdonare tutto”.
E io provo a comprendere, così da godere del videogioco come forma d’arte perché, oltre a divertire, emoziona. E l’emozione, così come il semplice divertimento, non fa distinzione di sesso, età o etnia, quindi godiamoci quello che il mondo videoludico ha da offrirci, senza necessariamente schierarci per sentirci qualcuno.