[E3 2014]Dragon Age: Inquisition
Segni distintivi: vincitore per due anni consecutivi del titolo di “peggior azienda americana”, creatore di brand di successo di cui poi distrugge l’immagine con pessimi seguiti.
Siamo tutti d’accordo che EA ha molto da farsi perdonare: dopo aver concluso Mass Effect con un terzo e ultimo episodio così scialbo da spingere i fan a chiedere di cambiarne il finale, dopo aver trasformato Dead Space in un gioco che di horror non ha più nulla, dopo il pessimo lancio di Battlefield 4 (che tutt’ora arranca), ora è di nuovo il turno di Dragon Age, la cui credibilità è già andata persa col secondo episodio. Ma forse c’è ancora speranza: abbiamo visto Dragon Age: Inquisition all’E3, e potrebbe esserci una luce in fondo al tunnel.
Cos’è successo
Dragon Age: Origins è stato un fulmine a ciel sereno in un periodo in cui i giochi di ruolo fantasy parevano essere passati di moda tra i grandi publisher.
Pur essendo caratterizzato dal trazionale tema tolkeniano, aveva dalla sua un’ottima maturità dei personaggi, un mondo molto vasto con tantissime missioni, una storia ricca di diramazioni e scelte, un gameplay che miscela bene tradizione con modernità e per concludere una novità quasi assoluta per quasi tutti i giochi di ruolo: un inizio diverso in base alle radici sociali del personaggio creato (da qui il nome). Il risultato? Uno dei giochi di ruolo non-open world più immensi (e graditi) di sempre. Ovviamente, non poteva non avere un seguito.
In quel periodo, l’unico concorrente degno di nota era The Witcher, degli allora “poveri” polacchi di CD Projekt Red, che al momento dell’uscita di Origins stavano già lavorando al secondo episodio. Come sappiamo, The Witcher 2 ha scelto la via più logica, sensata e giusta: prendere tutto ciò che i fan hanno gradito del primo, migliorarlo, creare un gioco più grande e più ricco di contenuti, e tutto con un motore grafico personalizzato e sicuramente costosissimo da realizzare.
Cosa ha fatto invece la grassa e ricca EA, che avrebbe potuto lasciare a Bioware tutto il tempo del mondo per creare un bellissimo Dragon Age II? Prende Origins, gli toglie l’apprezzata personalizzazione del protagonista per rimpiazzarlo con uno fisso, riduce il mondo di gioco a una sola città, banalizza il sistema di combattimento eliminando ogni elemento tattico e riducendolo a un action noiosamente facile, usa un motore grafico povero per adeguarlo a tutte le piattaforme, e ricicla quest e ambientazioni creando un esperienza scadente e ripetitiva. Cigliegina sulla torta: è probabilmente anche uno dei giochi più ridicolosamente pieno di DLC più o meno grandi e più o meno costosi, contro il totalmente gratuito (e migliore) lavoro di ampliamento attuato da CD Projekt Red sui suoi giochi.
In altre parole: tutto il bene è stato preso e cestinato per poter rendere il gioco più appetibile anche a chi di questo genere non ne capisce nulla.
Oltre il velo
Veniamo a Dragon Age: Inquisition. Evidentemente, l’idea di semplificare il gioco per vendere non è andata così bene, altrimenti non si spiegherebbe quello a cui abbiamo assistito. Anzitutto, per tutta la durata della presentazione non ricordiamo di aver sentito menzionare Dragon Age II, e ciò è decisamente un buon punto di partenza. Secondo: pare che la decisione di CD Projekt Red di rendere The Witcher 3 un gioco open world abbia influenzato anche Bioware, che ha fatto la stessa cosa con il suo gioco, seppur con meno interazione (niente salti, per esempio) e dei limiti di esplorazione, a detta degli sviluppatori. Questo ha portato alla creazione di un gioco che, finalmente, torna a dare dignità alle origini della serie (mai frase più azzeccata, ndr), con un mondo di gioco vasto al punto da permettere ai creatori di dichiarare che una sola area di Inquisition è grande quanto tutto il mondo esplorabile di Origins.
Anche in questo mondo l’ambientazione fantasy canonica persiste, ma viene resa più visibile; uno degli elementi del lore più caratteristici della serie è il Velo, ovvero una dimensione spirituale separata dal piano fisico, dove dimorano creature eteree di ogni sorta, generalmente non benevole, e talvolta capita che queste riescano ad entrare nel mondo reale prendendo possesso di esseri viventi o, in maniera più diretta, attraverso delle brecce. In questo episodio, il Velo è al centro della trama: una gigantesca breccia sta infatti devastando il mondo, e gli effetti sono visibili in tutto l’ambiente di gioco – basti osservare il cielo.
Il nome del gioco deriva dal ruolo del giocatore nella storia, ovvero l’Inquisitore generale, il cui scopo è determinare chi o cosa ha aperto la breccia e porre fine a questa minaccia. Proprio questo ruolo pone delle interessanti prospettive nella narrazione: è vero che protagonista e compagni (almeno quelli di partenza) sono pre-determinati, ma è anche vero che, come sottolineato nella presentazione, per una volta giocheremo nei panni di personaggi che rappresentano i massimi ranghi all’interno delle loro fazioni, invece del canonico avventuriero sconosciuto e senza nome.
Parlando delle fazioni, è d’obbligo citare i problemi politici che, come solito, le organizzazioni umane si portano dietro. Questa volta, clero e maghi sono in guerra aperta, e girando capiterà spesso di trovare membri di questi ordini in conflitto – e noi potremo prendere posizione. La trama avrà infatti bivi e variazioni a seconda delle nostre scelte, così come l’influenza sul rapporto con i propri compagni, analogamente a quanto avveniva anche nei predecessori.
Campi di battaglia
L’aspetto tecnico influenza sia l’occhio del giocatore che il gioco: avvalendosi del motore Frostbyte 3 (il medesimo di Battlefield 4), Dragon Age: Inquisition beneficia di una veste grafica di alto livello non solo nel panorama dei giochi di ruolo ma anche a livello generale. Questo ha permesso oltre che a creare un mondo più esteso e ricco di dettagli anche a rendere i combattimenti molto più dinamici e spettacolari, sia negli effetti che nelle animazioni. Ciò non significa lesinare di combattimento tattico: analogamente ai precedenti titoli della saga sarà possibile controllare ogni personaggio della squadra e impartire ordini durante la pausa, ma a questo giro i nemici più grossi saranno dotati di salute su differenti parti del corpo, aumentando la varietà di approcci negli scontri.
Parlando di varietà, sappiamo che il sistema di crafting è stato rinnovato, ma non abbiamo potuto vedere come. Quel che invece è certo è che il numero di capacità sviluppabili è aumentato enormemente: si parla di più di 200 tra incantesimi e abilità varie.
E infine, una postilla sulla colonna sonora: a questo giro il sommo maestro Inon Zur, responsabile per i precedenti episodi, fa spazio a Trevor Morris. Se lo stile di Zur è sempre stato caratterizzato da una forte impronte epica, Morris, la cui esperienza è basata perlopiù sul cinema, dichiara che il suo scopo è dare un impronta cupa all’esperienza di gioco, in rispetto ai temi “apocalittici” affrontati.
Dopo la delusione di Dragon Age II, Bioware pare pronta a sfornare un gioco in grado di ridare dignità alla serie. Le potenzialità offerte da un mondo di gioco più aperto e grande sono molte, e se il livello qualitativo sarà lo stesso di Dragon Age: Origins non potrà andare male. Certo, non mancano le incognite: si sa pochissimo sulla storia dei personaggi, e avere un gioco molto vasto non implica che non possa rivelarsi noioso, ma vogliamo essere fiduciosi che EA, almeno questa volta, non si metta in mezzo e lasci lavorare il team in pace.
Dragon Age: Inquisition uscirà il 7 ottobre su PC, Xbox 360, Xbox One, PlayStation 3 e PlayStation 4.