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Los Angeles, California. Nel tranquillo quartier generale della Heavy Iron Studios, da qualche parte, squilla un telefono. Qualcuno risponde e un attimo di suspense anticipa la novità: una nota divinità nel pantheon della produzione commerciale, Activision, vuole finanziare l’ennesimo tie-in. Perché no? La strada del prodotto su licenza è certo insidiosa, costellata di produzioni scriteriate e prive di passione, ma si spera sempre che la nomea o l’amore per il fanservice arrivino laddove la qualità non riesce; lo sanno tutti, lo sanno i consumatori come lo sa bene Andy Owen (produttore capo di Activision), il quale, pur non nascondendo i rischi insiti in questa scelta, affida parole entusiastiche al PlayStation Blog. Qualcosa come "sembrerà creato dallo stesso Seth MacFarlane, dopo aver preso lezioni di informatica". Ebbene sì, perché parliamo di un gioco sui Griffin, la dissacrante serie animata nota al mondo come Family Guy.
 

Deve essere andata più o meno così. Accantonare il progetto, per una software house privata come Heavy Iron, per altro specializzata in prodotti analoghi (Up, WALL-E ecc.), era cosa praticamente impossibile. Il business chiama e questa volta ha vesti molto più suadenti del solito. Owen assicura un lavoro a stretto contatto con la Fuzzy Door, i creatori del cartone, e il patrocinio dello stesso MacFarlane. Bisogna riconoscere che le premesse ci sono e sono delle migliori; ecco allora giungere il fatidico momento in cui il quasi incolpevole team, rimboccandosi le maniche, si incarica del difficile compito di realizzare un titolo dignitoso, dopo il fiasco di quel Family Guy Videogame! del 2006.

Quahog – universi paralleli, un biglietto non rimborsabile

Ritorno al Multiverso, come suggerisce il titolo, si ispira ad un episodio particolarmente riuscito (secondo i fan) dell’ottava stagione, Viaggio nel Multiuniverso, appunto. In realtà, ispirazione a parte, questo gioco può essere considerato come un diretto continuatore, sul piano narrativo, dell’episodio La teoria del Bing Bang, della nona stagione.
È un giorno qualunque in casa Griffin, ma la solita atmosfera surreale e politicamente scorretta è destinata ad essere turbata dalla inaspettata comparsa di Bertram, fratello malvagio di Stewie, che era stato ucciso da quest’ultimo negli eventi del cartone. Il redivivo e malefico moccioso spiega di provenire da una dimensione parallela, in cui non è mai deceduto, e minaccia di distruggere il mondo intero. Informati gentilmente i suoi nemici, il piccolo genio (ma dove?) del male fugge nelle remote pieghe dimensionali alla ricerca degli armamenti adeguati per attuare i suoi propositi.
Dopo questa insipida e banale premessa, i nostri beniamini, Stewie e Brian, si lanceranno all’inseguimento del loro antagonista in dieci dimensioni, una per livello, in cui regna la demenzialità più assoluta. La festa nerd, il villaggio degli amish, l’universo in cui i portatori di handicap sono al dominio… tutte realtà studiate per scagliare delle feroci ed esplicite frecciate alla società, sfruttando però la solita monotona faretra tematica, omosessualità in primis.

La struttura del gioco è chiaramente concepita per darvi l’impressione di trovarvi in uno dei tanti episodi dello show animato, di cui avete improvvisamente preso il controllo, grazie al vostro pad. Lo dimostra la sigla d’apertura, quella originale che avrete visto tante volte in tv, che anticipa gli avvenimenti della storia. In realtà, al di là di questo piccolo orpello, basterà poco a convincervi del contrario. In barba alla garanzia di qualità che una sceneggiatura, curata da Anthony Blasucci e Mike Desilets, dovrebbe avere, il comparto narrativo appare piatto, riciclato e poco ispirato. Molte scene sembrano estrapolate a casaccio dalla serie e la sensazione è quella che i due sceneggiatori abbiano attinto a piene mani dal proprio cestino della carta straccia, quello delle bozze. La spregiudicata comicità rasenta l’eccesso ed è priva di sagacia, la volgarità è totalmente gratuita e diventa presto stucchevole, la risata tarda ad arrivare ed è limitata a brevi gag tra i due protagonisti. Le numerose citazioni, che vi accompagneranno anche nei frequenti tempi di caricamento, fungono solo da omaggio e sostengono una superflua autocelebrazione. In tutto ciò, inevitabile chiedersi dove sia finito l’occhio vigile del geniale Seth, il quale, se davvero è stato coinvolto nello sviluppo, magari era in pausa caffè o si trastullava con una delle bambole gonfiabili di Quagmire.

Ritorno al passato, per Moltiversi

Se la trama non brilla, il comparto tecnico aumenta sensibilmente il senso di sgomento. Il gioco si rivela un grezzo sparatutto in terza persona dotato di alcune meccaniche tra le più desuete, il tutto evidentemente sottoposto ad un goffo e malriuscito processo di svecchiamento. Sembra quasi di essere tornati davvero indietro nel tempo, agli albori del genere: nessun sistema di coperture, sistema di puntamento non proprio preciso (nonostante la mira automatica), una mappatura dei tasti forse un po’ macchinosa.
Potrete decidere di giocare da soli, passando da Stewie a Brian con la semplice pressione di un tasto, oppure farvi assistere da un amico. L’intero gioco, difatti, è stato pensato per supportare la modalità cooperativa, con schermo condiviso (verticale od orizzontale). Tuttavia, per quanto concerne la campagna principale, giocando in solitaria non si avverte la minima necessità di un compagno, che anzi guasterebbe ulteriormente l’esperienza, semplificandola troppo; scegliere poi un PG piuttosto che un altro è tutta una questione di gusti, dato che raramente si sente il bisogno di comandarne uno in particolare per poter usufruire di una determinata arma più adatta all’occasione.

Un level design mediocre, afflitto da antichi difetti come mura invisibili, riduce ogni missione al mero attraversamento di un corridoio pullulante di nemici kamikaze dotati di un’intelligenza appena necessaria a schivare qualche colpo e prontissimi a corrervi incontro per beccarsi la fucilata fatale o un facile headshot. Nel remoto caso in cui doveste tirare le cuoia, ci penserà un sin troppo generoso sistema di respawn a farvi tornare in pista dopo un countdown di tre secondi, vicino al punto in cui siete morti, senza dover ripetere alcun segmento. La struttura lineare di ogni livello ben si addice agli infantili e ripetitivi obiettivi di missione, essenzialmente un viaggio dal punto A al punto B con varianti (recupero oggetti, attivazione interruttori, salvataggio ostaggi). Ogni livello, dunque, muore col suo finale e non ha alcun motivo di essere rigiocato, a meno di non puntare al ritrovamento di tutti i collezionabili. In generale, la semplicità del gioco è disarmante e solo alcune boss fight, generalmente quelle in cui è evidente un tentativo di giustificare la coop, richiederanno una discreta dose in più del vostro impegno.

A sollevare un po’ le sorti di questo quadro critico, nonché a diversificare leggermente l’esperienza, ci pensa il nutrito roster di armi, fantascientifico quello di Stewie e più realistico quello di Brian, unito all’eccentricità dell’equipaggiamento secondario, costituito da autentiche chicche per tutti gli amanti dei Griffin. Come non elogiare la possibilità di sguinzagliare Ernie il pollo gigante a caccia di nemici, di sfruttare un ebete pupazzo gonfiabile per distogliere la loro attenzione, di far sforacchiare i nostri antagonisti da Joe Swanson? Oltre alle armi principali, poi, il sistema di combattimento offre la possibilità di attaccare in mischia, di lanciare bombe, diverse per ogni personaggio (pannolini zeppi di feci per Stewie e molotov Jack Daniels per Brian), e di sfruttare dei poteri speciali e ricaricabili, anche questi diversificati.


Il potere speciale di Quagmire, lo scudo con la bambola gonfiabile   

Il comparto grafico si fonda su uno sviluppo in cel shading elementare, tutt’altro che di qualità. Il risultato non è impeccabile, regge difficilmente il confronto con produzioni analoghe, e, talvolta, appare più povero e smorto rispetto al livello qualitativo delle puntate più recenti del cartone. Nonostante questo, al di là di qualche fenomeno di aliasing, l’anonimo e passabile motore grafico riesce a svolgere il suo lavoro egregiamente, senza compromettere la fluidità del tutto.

B-b-b-bird’s the word

Immancabile la presenza del tormentone dei Surfin’ Bird, cavallo di battaglia di Peter Griffin riproposto in più momenti all’interno del gioco. Il pater familias della casa più folle d’America non può essere utilizzato per completare la storyline, ma fa parte dei personaggi selezionabili nella modalità multiplayer, rigorosamente locale e sino a 4 giocatori, e in alcune missioni della modalità sfida. Queste modalità hanno il pregio di arricchire il titolo, tranquillamente accantonabile già dopo le circa 3 ore che servono per completare la campagna principale, e non sono prive di alcune note divertenti. Rappresenta certo un punto a favore del divertimento il poter disporre di un vastissimo arsenale, metà fantastico e metà d’ispirazione militare, studiato su misura per ogni personaggio, per sfidare i nostri amici. Non da meno è anche la possibilità di sbeffeggiare i nemici: esiste un tasto apposito che, se premuto, vi consentirà di ammirare tutte le provocazioni dei vari personaggi, tra i quali il balletto b-b-b-bird di Peter. L’unico difetto è che anche questo entusiasmo dura poco.

 

Altri personaggi selezionabili sono Glen Quagmire, Chris, Lois, Meg, Cleveland Brown, Adam West e Morte. Ognuno di loro, come Stewie e Brian, può essere customizzato con diversi bizzarri costumi, sbloccabili mediante i progressi della storia e poi acquistabili nello store in-game. Questo stesso negozio, perfettamente accessibile anche nel bel mezzo di una partita mediante un’icona a forma di buco nero, rappresenta una fonte infinita di rifornimento item, nonché una possibilità di migliorare, pagando, le statistiche dei personaggi.

Conclusioni

C’è ben poco da salvare in Ritorno al Multiverso. Sebbene assai diffuso e certamente vero, il binomio tie in – porcheria, a volte, viene smentito da alcune apprezzabili eccezioni (l’ottimo Batman di Rocksteady). Pensando al promettente South Park: The Stick of Truth, non possiamo fare a meno di considerare questo ritorno (piuttosto atteso da alcuni) di Family Guy nel mondo videoludico come l’ennesimo maldestro spreco di grande potenziale. Persino la collaborazione con gli eclettici creatori della serie, non considerando la piacevolezza del doppiaggio inglese originale, si perde nel nulla, configurandosi come un’avida mossa commerciale. Ogni aspetto di questo gioco è ben al di sotto della media, la noia non arriva solo perché la scarsissima longevità vi tende una mano. Considerando l’ancora elevato prezzo di vendita, dovuto sicuramente al costo della licenza, se ne sconsiglia l’acquisto anche ai fan di lungo corso.

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