The Dig – Recensione The Dig
Hollywood punta e clicca
Alcuni prodotti videoludici moderni soffrono di una povertà narrativa nascosta sotto uno scintillante comparto tecnico, con le dovute eccezioni (la saga di Mass Effect, Deus Ex, L. A. Noire, Heavy Rain e altri) si ha a volte l’impressione che un titolo giunga alla sua conclusione senza aver lasciato in noi la soddisfazione di aver scoperto una trama, dei personaggi ben caratterizzati e una buona storia in grado di lasciare il segno anche a distanza di tempo. La fine degli anni ’80 vide la nascita e l’evoluzione di un genere ormai rimasto nel cuore di molti utenti: le avventure punta e clicca. In quel periodo si tentò di compensare le ancora scarse capacità tecniche dei processori grafici con una trama ben progettata e dei personaggi memorabili, alcuni dei quali ormai entrati nella storia videoludica. Protagoniste del mercato furono allora l’intramontabile LucasArts e la Sierra.
Circa un decennio più tardi, nella metà degli anni ’90, le tecnologie più progredite, grazie anche all’uscita sul mercato della prima Playstation, imponevano esponenziali miglioramenti grafici e sonori, con relativo incremento dei costi di produzione. Le avventure punta e clicca della LucasArts, basate principalmente su trama, personaggi, enigmi, fondali disegnati a mano e sprite in bitmap, andarono incontro a un lento declino di mercato. Ciò non impedì alla casa statunitense di produrre ottimi titoli come Full Throttle, The Curse of Monkey Island e il carismatico Grim Fandango. In quello scenario un regista, già affermato, ideò una trama di fantascienza per un film che non vide mai la luce a causa degli alti costi di produzione, e decise quindi di contattare un suo amico per proporgli di trasformare la storia in un prodotto videoludico. Il regista era Steven Spielberg, il suo amico George Lucas, e la trama del titolo si sarebbe poi concretizzata in The Dig, uno dei titoli più riusciti della LucasArts, e sicuramente uno dei più cupi e maturi. Una bozza del soggetto venne scritta da Spielberg alcuni anni prima, nel 1989, ma prima che si riuscisse a crearne il prodotto finale si passò per numerose vicissitudini e quattro sceneggiature, che ne avrebbero rimandato l’uscita al 1995. La prima versione della sceneggiatura fu opera di Noah Falstein, in seguito sostituito da Brian Moriarty, che ideò una trama molto più splatter e dai toni horror più marcati, includendo un quarto protagonista che venne incluso anche nella prima versione della copertina del titolo, e in seguito rimosso digitalmente (la copertina con tutti e quattro i protagonisti di The Dig venne in seguito riutilizzata per il romanzo omonimo di Alan Dean Foster). La versione di Moriarty incontrò inizialmente il parere positivo di Spielberg, ma il regista, reso prudente dalle lamentele sorte intorno al suo Jurassic Park, uscito nei cinema in quel periodo (1993), da parte di genitori che incautamente, e ignorando il PEGI-13 assegnato alla pellicola, portarono i propri pargoli ad assistere al film, decise di proporre una versione più edulcorata di The Dig. Il progetto passò quindi per breve tempo nelle mani di Dave Grossmann (che alla LucasArts aveva già programmato il primo episodio di Monkey Island insieme a Tim Schafer e Ron Gilbert), per poi essere finalmente affidato a Sean Clark.
Armageddon sul PC
Abbandonando le pur riuscite tematiche comico-demenziali tipiche delle sue produzioni precedenti, la LucasArts produsse un titolo dalla storia decisamente più matura, punto di forza di The Dig, al punto che tre anni dopo sembra essere stata in parte utilizzata per il film Armageddon (non sono pochi gli utenti convinti che l’inizio del film di Michael Bay sia ispirato al titolo LucasArts). Un asteroide è in rotta di collisione con il pianeta Terra, e le massime autorità mondiali decidono di inviare un piccolo gruppo di individui con lo scopo di deviare la traiettoria del pericoloso corpo celeste. Costoro, ovviamente scelti tra i migliori nei rispettivi campi, sono il comandante Boston Low, militare con spiccate doti da leader, Maggie Robbins, giornalista di fama mondiale dotata di un talento unico nella decifrazione delle lingue, Ludger Brink, famoso geologo e archeologo, Ken Borden, eccellente pilota di shuttle, e Cora Miles, tecnico hardware. La squadra viene dunque inviata a bordo di uno shuttle a piazzare cariche atomiche in punti ben precisi dell’asteroide. Una volta deviata la traiettoria dell’ammasso roccioso i tre protagonisti principali, Low, Robbins e Brink, scoprono che l’interno non è composto di sola roccia, ma è cavo e presenta inequivocabili tracce di tecnologia aliena. Attivando un meccanismo i tre vengono trasportati in uno scenario completamente estraneo, apparentemente deserto ma in realtà ricco di indizi e testimonianze di una civiltà molto più progredita di quella terrestre. Dopo aver inutilmente tentato di mettersi in contatto con Borden e Miles, rimasti a bordo dello shuttle, i tre involontari eroi decidono quindi di separarsi per proseguire le ricerche in modo indipendente, guidati da intenti diversi in un riuscito rapporto di reciproca collaborazione e, talvolta, conflitto. Il nostro alter ego ludico, Boston Low, desidera semplicemente tornare a casa, eppure sarà proprio lui, in un alternarsi di stupore infantile e pragmatismo militare, a rimanere affascinato dal succedersi degli eventi. Mentre Brink, in seguito a un incidente, viene preso da un’ossessiva sete di conoscenza nei confronti della civiltà aliena, la giornalista Robbins deciderà per una saggia via di mezzo, intenzionata sia a tornare sul pianeta Terra, sia a svelare i segreti dello scenario in cui sono capitati.
Avventure nello spazio
La giocabilità di The Dig rimane ancorata ai meccanismo tipici dei punta e clicca della LucasArts, riprendendo e migliorando il suo ormai famoso motore SCUMM. Abbandonando le frasi-azioni nella parte bassa dello schermo, presenti nei titoli precedenti (vedi Monkey Island e il pionieristico Maniac Mansion), la casa statunitense affida i controlli del titolo a un agevole puntatore contestualizzato. Un inventario racchiude tutte le icone e gli oggetti necessari, e le stesse risposte ai dialoghi sono gestite tramite ulteriori icone nella parte bassa dello schermo. Tale meccanismo semplifica di molto il sistema di controllo e la gestione dell’inventario, di dialoghi e azioni, ma può generare un iniziale disorientamento nell’utente, nel tentativo di capire a quale azione corrisponda ogni icona. Come da tradizione LucasArts, la parte esplorativa e la risoluzione degli enigmi costituiscono quasi l’intera struttura del titolo. La prima potrebbe provocare rari momenti di noia dovuti agli inevitabili momenti di stallo tipici dei titoli punta e clicca e alla necessità di tornare spesso in locazioni già visitate (ma è presente una comoda possibilità di accelerare il passaggio da una locazione all’altra tramite un doppio clic del puntatore), la seconda è talvolta resa frustrante dalla difficoltà di distinguere alcuni punti interagibili (hotspot) tra gli scenari, costringendo talvolta l’utente a una ricerca meticolosa con il puntatore (il famigerato pixel-hunting tipico di alcuni titoli di questo genere). La risoluzione stessa degli enigmi è legata principalmente alla gestione dei rapporti tra i tre protagonisti e alla comprensione dei meccanismi alieni che incontreremo nel corso dell’avventura, facendo affidamento a indizi spesso criptici, ma mai frustranti. La longevità del titolo rimane entro i limiti da sempre presenti nelle avventure grafiche. Una volta portata a termine l’avventura principale ben difficilmente si è invogliati a ricominciare, a causa anche della totale assenza di bivi o decisioni alternative (fatta eccezione per una lieve differenza nel finale, dovuta al mantenere o meno una promessa fatta a Maggie Robbins durante l’avventura).
Scenari e mondi alieni
Il comparto tecnico di The Dig risente della lunga gestazione subita dal titolo, iniziata nel 1993 (anche se, come abbiamo visto, l’idea risale al 1989) e giunta a conclusione solo nel 1995, anno di uscita nel mercato. I due anni di ritardo hanno fatto in modo che il titolo non fosse pienamente all’altezza della concorrenza, dal punto di vista meramente tecnico. I filmati in computer grafica, realizzati dalla Industrial Light and Magic di Lucas, apparvero già allora di una qualità al di sotto della media, mentre le scene cinematiche presenti durante l’avventura presentavano uno stile cartoon che stonava con l’atmosfera matura del titolo. Ma a tutto ciò l’avventura della LucasArts rimediò grazie a una qualità artistica ancora oggi eccellente. I fondali disegnati a mano sfiorano vette artistiche che raramente si riscontrano in un’avventura grafica, con una varietà di scenari tra foreste, montagne, caverne, creature ed edifici con un design alieno decisamente riuscito. A completare simili risultati troviamo un comparto sonoro tra i migliori presenti in questo genere di prodotto. Le musiche, a opera di quel Michael Land che già si rese artefice della colonna sonora di Monkey Island, vanno dal new age all’orchestrale (è presente persino un tema musicale di Wagner) senza mai risultare invasive o fuori contesto. Anche il doppiaggio raggiunge ottimi livelli, con protagonisti doppiati da attori del calibro di Robert "T-1000" Patrick (che presta la sua voce a Boston Low) nella versione originale, ma con buoni risultati anche nella versione italiana, dove possiamo apprezzare i differenti stati d’animo delle voci, e persino i dialetti di alcuni protagonisti, grazie a una riuscita localizzazione.
Una bella avventura non invecchia mai
Con The Dig la LucasArts riuscì a confermare, se mai fosse stato ancora necessario, la sua eccellenza nel campo delle avventure grafiche. Il fascino di una storia ben costruita, di protagonisti ben caratterizzati, di enigmi originali e di uno scenario tra i più evocativi non ha minimamente risentito degli anni passati dall’uscita del titolo. La mano di Steven Spielberg si nota in quasi tutta l’avventura, donando al titolo una qualità narrativa che non avrebbe sfigurato in una produzione cinematografica, e la trama stessa, unita a un comparto artistico e sonoro decisamente superiore alla media, rende il titolo della LucasArts un prodotto giocabile e affascinante ancora oggi.