La legge del più forte: i giochi che hanno superato le aspettative e quelli che sono rimasti schiacciati da esse

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In ogni storia, per quanto essa possa essere già scritta e scolpita nella pietra, c’è sempre quella – a volte anche piccolissima – percentuale di incertezza, che può portare a risultati inattesi, imprevisti. Per fare una metafora calcistica potrei parlare, per esempio, dei cosiddetti miracoli sportivi, ossia quelle rarissime occasioni in cui Davide indossa i panni del Golia di turno, e fa piazza pulita dei suoi avversari, in modo assolutamente imprevedibile.

Mi vien da pensare al recente successo dell’Italia agli Europei del 2021, alla clamorosa vittoria del Leichster di Ranieri e così via.

Insomma: il mondo è pieno di “miracoli”, in tal senso, e anche l’industria videoludica, così come l’intrattenimento in generale, vive di clamorosi scossoni e non per forza positivi. Nella storia del videogioco, infatti, il termine “miracolo” è molto diffuso, soprattutto considerando il panorama indie e quelle produzioni che riescono a sovvertire ogni aspettativa in modi tanto semplici quanto meravigliosi.

Di contro, però, molto spesso, soprattutto quando si scende nel panorama dei tripla “A” e dei grossi publisher, ci siamo trovati di fronte a innumerevoli casi di produzioni che hanno fallito rovinosamente, azzerando l’hype e le speranze del pubblico in modi irreparabili.

La storia recente è piena, anzi pienissima di esempi, per entrambi i due schieramenti e ho deciso di inaugurare una nuova rubrica, dedicata proprio ai giochi che hanno deluso le mie aspettative e anche quelli che, invece, hanno superato di gran lunga ogni più rosea speranza. Chiaramente, terrò conto anche del parere “oggettivo” a cui i giochi in questione sono stati esposti da critica e giocatori, ma è anche altrettanto chiaro che, in primis, è il mio parere personale a fare un po’ la voce grossa. Siete pronti? Oggi si parte subito col botto, con un esponente per genere di primissimo livello.

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Il peso delle aspettative che infrange lo spazio: Starfield

Non potevo non partire da qui per questo “primo episodio” della nostra nuova rubrica, non potevo non partire da Starfield, uno dei giochi che, personalmente, mi ha più deluso negli ultimi anni. Diciamolo subito, onde evitare fraintendimenti: Starfield non è assolutamente un brutto gioco, anzi, ma non è riuscito, anche un po’ oggettivamente, a creare nei videogiocatori, e sicuramente non nel sottoscritto, quella sensazione di vuoto, quel buco allo stomaco tipo primo amore, tipico delle produzioni immortali e uniche.

Starfield è un grandissimo spreco, per quel che mi riguarda, ed ha deluso parecchio le mie aspettative. Bethesda, del resto, non ha certamente bisogno di presentazioni, ha saputo creare universi narrativi unici e memorabili in passato, ragion per cui era assolutamente lecito aspettarsi qualcosa in più da un gioco che poteva fare affidamento su un immaginario di base potenzialmente sconfinato.

È proprio questo uno dei più grandi limiti, se non il più grande limite in assoluto, di Starfield: non aver saputo creare un universo narrativo memorabile e indimenticabile, finendo con il risultare spaventosamente anonimo, soprattutto considerando, appunto, la storia pregressa dei propri creatori.

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E, se devo essere spietatamente onesto, anche il gameplay non mi ha fatto impazzire, con troppe scelte stilistiche “frenate” dalla voglia di creare qualcosa di grosso che, alla fine, si è rivelata un’arma a doppio taglio difficile da gestire. Starfield è risultato anonimo e privo di spunti particolari anche sotto il profilo del gameplay e, per quanto questo aspetto lo piazzo in seconda linea, devo ammettere che, messo insieme alla povertà narrativa che ho riscontrato, ha dato vita a un ecosistema finale pieno di lacune e poco stimolante. Tutto questo però si lega, giocoforza, alla natura intrinseca del pezzo.

Se non fosse stato un titolo di Bethesda e se non fosse stato accompagnato da una simile campagna di marketing, probabilmente avrei visto Starfield con occhi diversi, e questo è un grandissimo peccato, sia per la produzione sia per tutto ciò che significa il nome Bethesda per il settore videoludico.

Un successo inaspettato: Kunitsu-Gami Path of the Goddess

Questo 2024 mi ha regalato un sacco di gioie videoludiche, spesso e volentieri arrivate in forme e modi inaspettati. È proprio da qui che mi è venuta l’idea per questa nuova linea di articoli e devo ammettere che, al momento, ho veramente l’imbarazzo della scelta. Per iniziare questo nuovo viaggio, però, ho deciso di partire da quella che è stata la sorpresa più grande di questo 2024: Kunitsu-Gami Path of the Goddess.

Lo stilosissimo action-tattico di Capcom ha stravolto completamente la mia routine videoludiche dei primi mesi del 2024, monopolizzando la mia attenzione, come non accadeva da ormai davvero tanto tempo. Ho apprezzato tantissimo la semplicità e la “pulizia” del gioco, il suo stile unico anche e soprattutto sul piano audiovisivo, cosa che mi ha fatto anche riflettere parecchio sulla bravura di Capcom nel saper creare un qualcosa di tanto funzionale quanto strutturalmente semplice e “antico”.

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Kunitsu-Gami Path of the Goddess è proprio l’incarnazione di quanto detto a monte. È un prodotto particolare, arrivato sul mercato in mezzo all’indifferenza quasi totale della platea giocante, ma che ha saputo convincere, e, anzi, stupire un po’ tutti quanti, videogiocatori, addetti ai lavori e chi più ne ha più ne metta, superando così le aspettative di un po’ tutti quanti (anche se numeri alla mano non sembra essere così, in termini di vendite).

E, soprattutto, Kunitsu-Gami Path of the Goddess è senza dubbio uno dei miei giochi preferiti degli ultimi anni, e non soltanto perché ha saputo tenermi incollato allo schermo per ore e ore.

É inutile negare che il fattore sorpresa ha giocato un ruolo importante nel mio apprezzamento, anche perché, probabilmente, con una cultura dell’hype più marcata qualcuno avrebbe potuto da ridire su elementi come la ripetitività del gameplay o sulla scarsa longevità ma, alla fine del viaggio, nessuno ha avuto il “coraggio” di lamentarsi più di tanto, anche perché l’effetto sorpresa è stato talmente forte da infrangere ogni tipologia di barriera, almeno per il sottoscritto.

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