Unknown 9 Awakening | Recensione
Mi capita mio malgrado davvero poco spesso di rimanere deluso da un titolo o, per quel che vale, essere in hype per un titolo. Verso Unknown 9 Awakening, titolo di Reflector Entertainment facente parte di un complesso e intricato groviglio di prodotti multimediali, lo ero, forse proprio per la sua natura cross mediale, forse per il leggero interesse nel vedere Anya Chalotra in un prodotto videoludico (dopo che ha invece rappresentato la controparte seriale di Yennefer, dalla serie The Witcher).
Alla fine del mio tempo con Unknown 9 Awakening, lo scivolone davvero non capisco se sia più mio o loro.
Unknown 9 Awakening | Recensione | Fallire nell’intento
Questa sarà una di quelle recensioni in cui ti trattengo per 2000 parole per convincerti di quanto mi sia piaciuto un gioco e di quanto, credo, possa piacere a te se ti piace X o Y. Questa è una di quelle recensioni in cui cercherò di esprimere, in pochi paragrafi e senza troppo calcare la mano, dove un prodotto videoludico fallisce nel suo intento.
Di base quello che narrativamente Unknown 9 Awakening offre è un breve tutorial che termina con una morte, e il resto della storia è principalmente una vendetta verso chi ha direttamente causato la morte, e verso l’intera società segreta per la quale l’omicidio è solo l’ennesima voce di una lunga lista di crimini eseguiti nell’ombra.
Non cercherò nemmeno lontanamente di approfondire la storia più che con questo accenno, perché molto presto, nel gioco stesso, obbiettivi e metodi iniziando a confondersi, sfumando verso una sbiadita incertezza che, involontariamente, fa pesare ancora di più sul gameplay la promessa d’intrattenimento di Unknown 9 Awakening.
È l’ennesima storia di società segrete, apocalissi e intrighi secolari: era un argomento interessante un decennio e mezzo fa quando ai due poli della bicromica moralità c’erano Assassini e Templari, ma dopo 15 anni e molte rivisitazioni dell’idea in questo medium e altri, il disinteresse non ci fa sentire troppo in colpa. La storia, tra l’altro, pretende troppo che chi gioca già conosca quanto hanno fatto gli altri media nei quali Unknown 9 Awakening è presente (visual novel, podcast e libri).
Se la storia è dimenticabile, il gameplay è ordinario
Il gameplay di Unknown 9 Awakening è quello di un action in 3a persona con combattimenti corpo a corpo, alberi delle abilità, meccaniche di stealth e collezionabili. Possiamo nasconderci nell’erba alta, possiamo stendere i nostri nemici con un colpo netto alle spalle, abbiamo anche modo di agire su bombole e macchinari nelle varie aree di gioco per sfoltire l’ostile gregge di nemici prima di farci scoprire e far partire un assalto a tutto tondo verso di noi.
Di tutte le meccaniche che il gioco introduce, la necessità (o meglio la voglia di del team) di spingere sulla componente stealth mostra subito il fianco a criticità di gameplay piuttosto subdole nello sbuffato “whatever” che causano a chi gioca: l’IA dei nemici è praticamente inesistente, per fare rumore e distrarre un nemico serve usare una sorta di stamina magica che, attenzione, si può tranquillamente finire durante un combattimento, e l’utilizzo, da un certo punto in poi, di sonde che ci rilevano anche se siamo nascosti e avvisano tutti della nostra posizione sembrano allarmanti indizi di un gameplay design che si fida molto (troppo!) del coinvolgimento dettato dal combattimento corpo a corpo.
Nel 2024 mi è davvero difficile giustificare la superficialità di alcune strutture di gioco che dalle ultime generazioni di prodotti videoludici non hanno imparato quasi nulla
Anche nella sua componente di puro combat, però, Unknown 9 Awakening trascina i piedi sullo sterrato ludico piazzato e già camminato da altri: la protagonista Haroona infatti fa affidamento su poteri derivati da una dimensione alternativa alla quale riesce ad attingere, ma queste abilità comunque costringono lei e noi a doverci far strada a suon di pugni, schivate, e trucchetti da Jedi che non c’ha creduto abbastanza.
Con i trigger possiamo infatti spingere o tirare a noi i nemici, o possiamo attivare l’involontaria miccia di una bombola fortuitamente piazzata giusto vicino al nostro nemico, ma molto del metodo d’ingaggio è detto dal contatto offensivo a mani nude. Nulla che non possa risolvere con un moderato spam di R1, sia chiaro. Persino l’ordine con cui sblocchiamo i poteri e i loro rispettivi potenziamenti è pieno di frizione con un generico buon senso che non credo sia troppo pretendere, soprattutto quando ci si ispira così fortemente a Jedi Fallen Order, che almeno aveva la scusa di un personaggio con vuoti di memoria.
La meccanica più interessante e che più resterà nella mia memoria, nell’attesa di dev e idee di gioco che meglio la sappiano sfruttare, è il “passo” (“step”, in originale). Se avremo infatti il livello di “cariche previste” per l’utilizzo di questo potere, con la pressione di un tasto Haroona potrà velocemente possedere un nemico e fargli eseguire un’azione: se siamo bravi, attenti e precisi, questa azione sarà un attacco su un altro nemico.
Rigidità è la scomoda parola d’ordine
Successivi potenziamenti di questa straordinaria meccanica potranno allungare il tempo di “possessione”, o permetterci di fare più danno nel momento in cui eseguiremo con successo un attacco nemico su nemico, o ancora concederci di eseguire un secondo “passo” su un altro nemico, dopo il primo. Da dove arriva la mia critica, allora? Dall’approccio un po’ troppo pigro all’enemy design.
Se lo step è infatti interessante, i nemici contro i quali ci troviamo a combattere non lo sono assolutamente. C’è l’archetipo leggero, c’è l’archetipo del nemico con il colpo a distanza, c’è il bruto. Ci tocca sempre combattere corpo a corpo, sia chiaro, ma molto spesso i nemici ci fanno sentire sbilanciati; se capita infatti di essere senza capacità di step e senza “stamina”, conviene direttamente farsi uccidere e ripartire dal checkpoint, perché le speranze sono pressocchè zero.
Se rigidità è la parola d’ordine in questo aspetto, come lo è per i modelli poligonali (inespressivi e tecnicamente fallaci), linearità lo è per il prossimo.
Punire l’interazione, in nome della linearità
Ci sono scorci, sparsi qui e lì nella quindicina di ore di gioco offerte da Unknown 9 Awakening, straordinariamente piacevoli. Le strade piene di una simil Bombay, la foresta di un’isola sulla quale si staglia un enorme dirigibile, l’arancione di un deserto implacabile: di fronte a location che in modo elegante stimolano l’occhio, è stato nuovamente fonte di frustrazione scoprire quanto poco c’è oltre a quel valore di facciata.
Non ci sono vie secondarie, non ci sono nicchie nascoste da esplorare, non ci sono geniali e imprevisti riallacciamenti al percorso principale. In Unknown 9 Awakening siamo vittime del dilemma del carrello ferroviario: se vogliamo linearità, Unknown ne offre troppa; se vogliamo libertà, Unknown non ne ha da offrire. L’unica differenza è che a morire sono le nostre aspettative e il nostro senso di immersione.
Tanta frizione non può che non vedersi riportata alla luce dai nostri comprimari: quasi mai interessanti e nemmeno lontanamente utili, non offrono mai spunti narrativi o emotivi di valore, sempre lì perché ci servono e mentre ci servono, e mollati di lato come un giocattolo che non ci interessa più quando hanno svolto il loro ruolo. Non è il fatto in sé, che dispiace, ma quanto attori e attrici coinvolti, a partire dalla stessa bravissima Anya Chalotra, ci credono e si impegnano nel doppiare e dare carattere ai loro alter ego.
C’è, poco sorprendentemente, pochissima cura anche a livello di UX
Trovo straordinario, in senso negativo, che io stesso sia incapace di nominare più di un paio di videogiochi con protagoniste/i indiane/i e praticamente nessuno di questi è giocabile, e Unknown 9 Awakening aveva anche questo proiettile pronto in canna, ma se ne dimentica e questo piccolo, forse unico successo, finisce per passare completamente inosservato.
C’è pochissima cura anche a livello di UX: i save point, ad esempio, non servono a nulla perché in realtà il gioco ti rimanda costantemente al checkpoint, dopo la tua morte; è impossibile cambiare la difficoltà in game, se si cerca un po’ più sfida o un po’ meno; le schermate di caricamento si sovrappongono ad un ritmo sconclusionato, senza nemmeno darti tempo di apprezzare le key art mostrate. Sono pochi esempi di una lista che, ahimé, è ben più lunga.
Troppe ambizioni spingono Reflector Entertainment a un fallimento che non merita. Una grande attrice e un ampio piano multimediale non possono spostare l’ago della bilancia quando si è in presenza di un gioco che si sente poco e visivamente non è degno di nota. Il gioco smette di essere divertente molto presto, e i compagni e la narrazione si rivelano insoddisfacenti e privi di scopo.
Se comunque sei curioso di provare il gioco, ti rimando alla sua pagina Steam. Se invece sei curioso di capire cosa ne pensa il fantastico Salvatore Mondillo di Dragon Age Veilguard, vai a leggerti la sua recensione in progress.
L'ambizione andava diretta meglio
Pro
- La meccanica dello "step"...
Contro
- ... che diventa noiosa in meno di un'ora
- Scelte di UX incondivisibili
- Visivamente molto ruvido
- Stealth senza valore e combat system mal equilibrato