Conscript RECENSIONE | La trincea degli orrori
“Esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla. Crediamo alla guerra.”
Conscript ti fa credere, alla guerra. Ti fa credere a quanto è inutile, a quanto è inumana, a quanto è palese forzatura e materiale manifestazione di giochi di potere per i quali non siamo nemmeno pedine, ma scacchiera. Non credevo un survival horror ambientato nella Prima Guerra Mondiale potesse coinvolgermi così tanto, ma l’opera del developer solista di Jordan Mochi, fondatore e unico dipendente di Catchweight Studio, ci riesce, in modo davvero brutale.
Conscript RECENSIONE | A cosa servono i mostri, se lo siamo già noi?
L’incipit narrativo di questo survival horror 2D in pixel art è piuttosto semplice: tu e tuo fratello, nel bel mezzo della guerra, venite mandati sul fronte francese, in trincea, a cercare di tenere salda la linea di difesa. È la Battaglia di Verdun a fare da sfondo alla campagna, di circa 15 ore, uno scontro che, durato poco meno di un anno, ha portato a circa 600 mila morti, tra un fronte e l’altro. Siamo insomma giovani francesi che, ingiustamente, si ritrovano con un fucile in mano, incastrati in un labirinto di trincee forse sicure, forse pronte ad essere assaltate.
È già nella selezione del livello di difficoltà (ce ne sono 4) che possiamo iniziare ad intuire il loop di gioco centrale del titolo: combat, puzzle, gestione risorse, sopravvivenza.
Qui Conscript adotta le regole più classiche del survival horror: abbiamo poco spazio nell’inventario, una capacità offensiva piuttosto limitata, e sembra esserci sempre un nuovo ostacolo fra noi e il nostro obbiettivo. Quello che Conscript NON usa sono i jumpscare, se non in un paio di situazioni, ma ti assicuro che non servono: l’orrore è già molto, ed è molto più viscido, malizioso e penetrante di quanto sarebbe con dei forzati BU! qui e lì.
Non ci sono elementi sovrannaturali, ma il terrore così funziona persino meglio. Il gioco fa anche un ottimo uso delle aree buie e delle immagini statiche a là Silent Hill che qualche volta ci si parano davanti dopo aver interagito con alcuni elementi della mappa, come una voliera, un armadietto, un cumulo di macerie, o una “mazzetta” di targhette insanguinate. L’art design in questo è eccezionale, e ogni pixel è funzionale al senso di isolamento che il gioco vuole trasmettere e sulla quale costruisce il suo impianto ludico.
Sembra tutto facile, nei film… ma i survival horror non sono d’accordo
A combattere siamo capaci, sia chiaro, ma non siamo bravissimi: possiamo usare qualche strumento corpo a corpo, come il badile o una piccola lama, o una manciata di armi, ma ci sono molte variabili di cui tenere conto, ad ogni scontro. Prima di tutto, ne vale la pena?
Non vanno affrontati con leggerezza i tedeschi che ci ritroveremo sulla strada, dal soldato semplice armato come noi di badile, a quello supercorazzato che non barcolla nemmeno con un colpo di fucile. Ogni risorsa è preziosa, ogni proiettile deve essere usato con cautela, e non abbiamo infiniti health kit a riportarci in forma se qualcosa va storto.
C’è da considerare il tempo che ci mettiamo a prendere la mira, anche nel corpo a corpo: quel reticolo si muove sempre più lentamente di quanto vorremmo, e se muoversi in un’altra stanza resetta il posizionamento e lo stato di allerta dei nemici, non basta questo a farci prendere con leggerezza il prossimo scontro, o quello dopo ancora.
Se da un lato è la durabilità a preoccuparci, nel contesto delle armi corpo a corpo, sono le munizioni limitate delle armi a trasformarci più in un Solid Snake che in Rambo. Certo, potremmo fabbricare medkit e proiettili, con i giusti ingredienti, ma sono tutte risorse limitate e la cui ricerca, a volte, ci mette più in pericolo che se non l’avessimo proprio fatta partire, quella ricerca.
“Qu’est-ce que vous achetez?”
Resident Evil, il primo, è evidentemente e sotto molti aspetti una fortissima ispirazione per come il gameplay di Conscript è stato costruito: c’è un mercante, abile nel venderci oggetti e nel liberarci dei nostri in cambio di sigarette (la valuta in-game, perfettamente coerente con la guerra in trincea); c’è isolamento, morte, e un’apparente distanza non solo fisica ma morale ed emotiva dal più vicino centro di “civiltà”. Come Racoon City o Villa Spencer, anche le trincee di Conscript giocano con i silenzi, con le assenze, con il terrore di ciò che potrebbe essere, più che di ciò che è.
Non siamo completamente soli, in quelle trincee, e scambiare due linee di dialogo con un commilitone è una boccata d’aria fresca e un’occasione per rilassare il diaframma, ma bastano due passi e un corpo maciullato è lì a ricordarci che la vera pace è a centinai di chilometri di distanza. Sono in particolare i soldati – nemici o alleati – sotto shock che si trovano in giro a rappresentare il vero e più profondo effetto “infestante” di Conscript. Dondolano in piedi, le mani strette attorno al cranio, a volte piangenti, a volte silenti. La guerra per loro è finita, e non finirà davvero mai.
“L’uomo è prima di tutto un animale e poi magari ci hanno spalmato sopra un po’ d’educazione, come il burro su una fetta di pane”
La cattiveria di quelli che invece ancora resistono è tanta, e non c’è spazio di interpretazione morale quando ci corre addosso un soldato urlante con una mazza chiodata in mano. Se il bilanciare le risorse è essenziale, in Conscript, e raramente ci troveremo completamente impreparati, il bilanciamento dei nemici lascia un po’ a desiderare dopo il primo terzo di gioco: soldati corazzati e alcune sezioni di sopravvivenza ad ondate offrono un momento “diverso” dalle ore di sobrietà precedenti, ma risultano stonate e frustranti.
Nelle opzioni di accessibilità si possono attivare i salvataggi infiniti e i salvataggi automatici dopo determinati checkpoint, ma ricaricare per la settima volta prima di una sezione di combat intenso rimane frustrante. Stesso discorso per i potenziamenti delle armi o dell’inventario, aggiunte piacevoli ma che non sembrano cambiare troppo le carte in tavola, almeno a livello di un superfciale player feedback loop.
Per sopravvivere agli scontri dovremo anche fare uso dell’ambiente circostante, magari usando angoli per prenderci il tempo di mirare e caricare il colpo, o usando benzina e fuoco per creare improvvisate pozze infiammate capaci di inghiottire anche i più coriacei dei nostri avversari (ovviamente non i corazzati, con una resilienza da far invidia a Mr X).
L’introduzione a circa un terzo di gioco dei topi spinge ancora più fuori asse il bilanciamento di Conscript: capaci di spawnare da determinate buche nei muri delle trincee e spinti all’aggressività dalla presenza dei cadaveri dei nemici da noi uccisi (ai quali potremo dare fuoco per evitare proprio questa situazione), trovare un topo ci costringe a reagire prontamente, ma trovarne di più signfica correre o morire, più in fretta di quanto si vorrebbe.
Aggiungiamoci il fatto che attacchi ripetuti da parte dei topi ci infetteranno, costringendoci all’utilizzo di specifici e rarissimi med kit… e avete capito il gusto di questo strano cocktail. C’è la possibilità di far esplodere, con una granata ognuna, le tane delle affamate bestie, ma nelle aree più trafficate non ce ne è mai davvero il tempo, l’occasione o le risorse per farlo.
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Déjà-vu, déjà-vu
Se l’attraversamento degli ambienti con qualche sparso puzzle ambientale posto ad ostacolare la nostra avanzata è un altro cardine di Resident Evil e di Conscript, il level design non è purtroppo all’altezza del compito: è a volte molto difficile “leggere” l’ambiente, e nelle situazioni più concitate la somma dovuta a nemici particolarmente ostici, un equipaggiamento limitato e alcune aree poco leggibili diventa inevitabile fonte di frustrazione.
Anche la mappa poteva restituire un po’ più di attenzione a livello di UX, magari rendendo evidente, come Resident Evil ha imparato a fare, quando abbiamo raccolto tutto il raccoglibile in una stanza, o magari segnalando in modo inequivocabile i passaggi fra aree bloccati o inagibili (alcuni possono essere abbattuti da colpi di artigliera, altri rimarranno bloccati fino a determinati step della storia o fino a fine gioco).
Come in molti altri titoli del genere, anche in Conscript il backtracking nell’ultima sezione di gioco è davvero troppo, e la soundtrack, per quanto creepy il giusto, riesce a essere ripetitiva sul lungo periodo, ma da uno sviluppatore in solitaria davvero è malizioso pretendere di più.
Conscript è un titolo che parla molto all’utenza che ha nostalgia per i survival horror delle prime generazioni, e potrebbe non funzionare per un’utenza più giovane e più abituata a elementi di quality of life ormai diventati essenziali al godimento di alcuni esponenti dei generi più spigolosi.
L’effetto nostalgico e rispettoso della tradizione è fortissimo, ma mai distorce Conscript dal suo valore di titolo solido, se non vagamente fuori equilibrio in alcuni aspetti. Che siate vecchi fan dei Resi, o nuovi aficionados del genere, Conscript sarà in grado di intrattenervi e catturarvi nel suo loop, a patto siate in grado di chiudere un occhio di fronte a nemici chiaramente sbilanciati e ingiusti, e ad un level design a volte un po’ troppo opaco.
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A qualche inciampo indie dal GOTY
Pro
- L'horror senza mostri non è una scelta scontata
- Il combat restituisce un ottimo senso di impreparazione
- L'artstyle 2D e l'utilizzo di immagini statiche è funzionale al 100%
Contro
- Purtroppo il titolo cede il passo ad un level design che andava rifinito meglio
- Il bilanciamento dei nemici è impreciso, e quei dannati topi sono fastidiosissimi
- Sembra parlare ad una specifica utenza, molto nostalgica dei survival horror "che furono"