Children of the Sun | Intervista a René Rother
Abbiamo intervistato René Rother, autore unico dell'interessante puzzle-shooter Children of the Sun
Lo scorso aprile ho provato la demo di Children of the Sun disponibile su Steam, titolo che mi aveva colpito per stile e concept alla base del gameplay.
Incuriosito dalla genesi di questo titolo così particolare, ho chiesto un’intervista all’autore del gioco René Rother per conoscere più dettagli su di lui e sul processo creativo che lo ha portato a tale risultato.
Marco Patrizi: Prima di tutto, puoi raccontarci qualcosa su di te? Come ti sei avvicinato allo sviluppo di videogiochi?
René Rother: Sono cresciuto in una piccola città dove la creazione di giochi non era qualcosa di accessibile all’epoca. C’era una rivista di giochi che veniva fornita con un disco demo e conteneva una mod di Quake 3. Mentre esploravo i file, ho notato che le texture erano proprio lì. Potevo aprirle in MSPaint e disegnarci sopra. Così ho passato qualche giorno a reskinnare un gioco a caso. Mi sono dedicato un po’ alla mappatura di Counter Strike. Ma per un po’ è stato tutto.
Questo finché non ho scoperto un tool uscito attorno al 2010, chiamato Stencyl. Si poteva semplicemente fare drag&drop di logiche di giochi tra di loro. Era fantastico! E questo mi ha mi ha spinto a provare molti strumenti diversi, a imparare la programmazione e così via.
MP: Sei accreditato come unico sviluppatore di Children of the Sun. Hai fatto tutto da solo o ti sei avvalso dell’aiuto di qualcuno, ad esempio per i disegni delle cutscene, o per la musica e il sound design?
RR: La cosa principale che non avrei potuto fare da solo è la musica. C’è questo artista meraviglioso che si chiama Aidan Baker che fa musica molto atmosferica, dronante e rumorosa. Sono un suo fan da molto tempo, quindi gli ho mandato un messaggio per chiedergli se volesse fare la musica per il mio gioco e lui ha accettato. È stato un gran colpo per me!
La grafica delle scene d’intermezzo è opera di Nil Vendrell, un fantastico disegnatore di fumetti. È riuscito a catturare lo stile artistico grezzo e ruvido che volevo adottare. Inoltre Stephen Cavalier – che lavora da sempre nel cinema e nei videogiochi come animatore, scrittore e regista – ha contribuito a dare forma alla storia e ha curato le cutscene. Mi è stato di grande aiuto nel trasformare tutte le idee random che avevo in una forma sensata.
E naturalmente c’è il mio produttore Juan de la Torre, che lavora per Devolver. Abbiamo chiacchierato molto durante la creazione del gioco. Senza di lui, questo gioco non esisterebbe. Con lui ho avuto una collaborazione molto stretta. Ha capito quello che volevo fare, mi ha dato un sacco di idee fantastiche e ora è un buon amico. Adoro quel ragazzo!
MP: Quanto tempo ha richiesto lo sviluppo di Children of the Sun? In che condizioni hai lavorato?
RR: Ci sono voluti circa quattro anni. All’inizio lavoravo come 3D artist per un piccolo studio di giochi indie a Berlino, quindi lavoravo al gioco nel tempo libero; finché dopo circa un anno ho abbandonato quel progetto. Lavorando praticamente da solo, il rischio per me era minimo. Nel peggiore dei casi, se il gioco fosse fallito, avrei dovuto semplicemente trovare un altro lavoro. Non c’era nessuna azienda, nessun dipendente, nessun ufficio. Solo io seduto nella mia stanza a creare cose. È stata un’esperienza incredibilmente appagante! Ho imparato moltissimo lungo la strada.
MP: Una curiosità: il titolo “Children of the Sun” è un riferimento a qualcosa? La prima cosa che mi è venuta in mente è stata la canzone dei Judas Priest, ma so che ci sono diverse canzoni con lo stesso titolo.
RR: In realtà si basa su una canzone del gruppo Swans, intitolata Children of God. C’è un disco intitolato “Feel Good Now” che è una selezione di registrazioni live. L’interpretazione di questa canzone è incredibilmente potente. È una delle mie canzoni preferite di sempre! Però usare la parola “Dio” mi sembrava troppo banale. Volevo comunque scegliere qualcosa che simboleggiasse la spiritualità. Così ho scelto la parola Sun.
MP: Il concept alla base di Children of the Sun è semplice ma estremamente efficace. Puoi dirci come ti è venuto in mente? Hai prima sviluppato la formula di gioco e poi creato una storia intorno a essa, oppure il contrario?
RR: È una delle prime volte da quando creo giochi in cui la meccanica è venuta prima di tutto il resto. Non ricordo come sia successo, è una di quelle cose che ho fatto e basta. È stato davvero soddisfacente vedere come il gioco fosse già divertente, senza lavorare troppo sull’atmosfera e sulle immagini. Da lì è stato molto semplice aggiungere le mie solite atmosfere lunatiche. Mi piace da sempre creare cose molto umorali e d’atmosfera. Qualcosa di malinconico, grezzo, un po’ aggressivo.
MP: Ci sono opere, come altri giochi, libri, film, musica… che pensi ti abbiano ispirato a livello artistico per il concept o l’ambientazione di Children of the Sun?
RR: Mi piace sempre pensare che la musica sia stata e sia tuttora la mia principale fonte di ispirazione. Mi piacciono le cose cupe e lunatiche. C’è qualcosa di molto interessante per me quando una sorta di atmosfera malinconica si incontra con qualcosa di leggermente aggressivo. Questo era il mio obiettivo principale: trasmettere una certa atmosfera, che mi piace molto e che non vedo spesso nei giochi.
Se parliamo di giochi che mi hanno ispirato, direi Killer7 e Hitman. Killer7 principalmente per lo stile e l’atmosfera. È un gioco un po’ limitato che sfrutta i suoi limiti in modi incisivi. Hitman è ormai un franchise AAA di grande qualità, che offre moltissimi modi per risolvere le sfide presenti nei livelli. Trovo davvero impressionante l’idea di dare ai giocatori alcuni strumenti e poi lasciare che capiscano cosa vogliono fare. Adoro questo approccio!
MP: Immagino che occuparsi di tutti gli aspetti di Children of the Sun sia stato molto impegnativo. Vorresti continuare a sviluppare giochi da solo in futuro, o preferiresti lavorare in team? E, in tal caso, su quale area vorresti concentrarti più specificamente?
RR: Mi piace molto lavorare in campi diversi. È molto appagante dal punto di vista creativo! Mi piace molto creare le mie cose e avere il controllo su tutto. Il grande svantaggio è che è molto facile bloccarsi. Anche solo parlare con qualcuno può creare un sacco di impulsi creativi, che mi mancano. Tutto richiede un’eternità. D’altra parte, sono incredibilmente flessibile. Se cambio idea su qualcosa, posso semplicemente farla. Molte delle mie decisioni si basano su un istinto che può essere difficile da comunicare. Posso semplicemente sedermi e provare, senza dover giustificare nulla. Nell’arte mi piace quando qualcosa ha una visione e una direzione forti. È davvero difficile trovare persone che condividano tali visioni.
Per ora mi piace fare le cose da solo, non credo di voler cambiare questo aspetto a breve. Poiché il gioco è cresciuto in modo così organico, non c’è stata molta pianificazione prima. Quella è una cosa che voglio cambiare. Prendere un po’ più seriamente la pre-produzione e avere un’idea più chiara di cosa voglio fare. Da quel punto di vista sono stato un po’ carente e disorganizzato, quindi a un certo punto durante la realizzazione del gioco ho dovuto fare un passo indietro e rivalutare la reale natura del gioco.
MP: L’assenza di dialoghi in Children of the Sun enfatizza l’attenzione all’interpretazione e all’atmosfera. È stata una scelta consapevole dettata dal tuo modo di esprimerti?
RR: Per me il gioco riguarda una sensazione. Penso che l’atmosfera e la storia siano portate avanti molto bene senza parole, mi sembrava davvero superfluo usare i dialoghi. Potenzialmente avrebbe davvero incasinare le cose in realtà. Sarebbero bastate poche parole fuori luogo e tutto sarebbe diventato imbarazzante. Per come la vedo, nel gioco non c’era spazio per i dialoghi.
MP: Children of the Sun evoca palesemente un senso di violenza in risposta al trauma, e un desiderio di vendetta. Ma allo stesso tempo tale violenza viene esercitata da lontano, senza quindi realmente affondarci le dita. E il fatto che venga esercitata a partire da una semplice pressione sul grilletto quasi la banalizza. C’è un concetto personale che hai voluto esprimere dietro questa scelta?
RR: Vorrei davvero dire di avere voluto esprimere questo concetto molto profondo, che dietro ci sia molto significato e roba del genere. Ma onestamente, è semplicemente successo. Ovviamente ho una mia interpretazione del perché abbia senso nel contesto della storia. Ma quando ho creato la meccanica non c’erano molti altri pensieri oltre a “è una cosa divertente”.
MP: Visto il successo ottenuto nella pubblicazione di Children of the Sun, hai qualche consiglio per gli sviluppatori indipendenti che vorrebbero farsi notare da un editore come Devolver Digital?
RR: Quando mi vengono chiesti consigli, dico sempre che non sono in grado di farlo. Non ho un quadro completo del processo. Tutto quello che ho fatto è stato lavorare su qualcosa, inviare una mail a Devolver e abbiamo finito per lavorare insieme. Il mio percorso è stato davvero fin troppo liscio. È davvero difficile da replicare.
Quello che posso dire è che bisognerebbe avere una forte visione di ciò che vuoi fare e di proporre qualcosa di fresco e unico. Non aver paura, fare ciò che si ritiene giusto e poi buttarsi. Ma poi – e questa è una cosa che non ho sperimentato – cosa succede se le cose non funzionano? Quando arrendersi? Quando hai bisogno di passare a un’altra idea e fare qualcos’altro? Questo non lo so. Non ho dovuto correre rischi. Avevo un progetto e ho solo cercato di realizzarlo, senza avere troppe aspettative.
Bisognerebbe sicuramente essere molto appassionati di ciò che si vuole fare. Ma quello che posso dire con certezza è: sii gentile. Sii una brava persona. Sii umile. Alla fine della giornata, tutti vogliono avere a che fare con persone tranquille e divertirsi. Anche le “persone che prendono le grandi decisioni”.