I JRPG di oggi sono solo Remake e Remaster?

Esaminiamo lo stato di salute attuale dei JRPG, in precario equilibrio tra nuove IP, remake e remaster. Sono troppe le operazioni che fanno leva unicamente sulla nostalgia?

top jrpg

I giochi di ruolo, che d’ora in avanti chiameremo semplicemente RPG, sono uno dei generi videoludici oggi tra i più apprezzati, ma che al contempo si rivela anche uno dei più standardizzati dell’intera industria. Ovviamente però non è stato sempre così.

C’è stato un tempo infatti in cui il termine RPG, almeno in ambito videoludico, veniva usato per identificare un genere che rappresentava la punta di diamante delle produzioni di quell’epoca e che, per quanto si trattasse anche al tempo di un’opinione soggettiva, sottolineava come questo particolare genere fosse in grado di innovare come nessun altro.

Il titolo di questo editoriale probabilmente si spiega già da solo, ma ci tengo comunque a precisare che da questo momento in poi, a meno di riferimenti opportunamente segnalati, ci occuperemo principalmente delle opere che fanno parte del (sotto)genere dei JRPG.

Come la maggior parte di voi probabilmente saprà già, la J nel termine JRPG significa Japanese e sta ad indicare letteralmente i “giochi di ruolo alla giapponese”. Fatta questa brevissima premessa, che verrà ampiamente approfondita nei capitoli seguenti, possiamo finalmente entrare nel vivo dell’articolo ed esplorare la nascita del genere, per poi passare alle tanto amate quanto odiate riedizioni.

Che cos’è un JRPG

Partiamo dal principio: che cosa significa veramente JRPG e quando (e soprattutto perché) è nata l’esigenza di differenziarlo dal più classico gioco di ruolo? Ci sono diverse interpretazioni su questo tema: c’è chi dice per esempio che l’essenza di un JRPG sia la presenza di un sistema di combattimento a turni, nonostante questa affermazione non corrisponda pienamente alla realtà.

Se è vero infatti che i JRPG e i turni, soprattutto nelle opere del passato, sono legati in modo quasi indissolubile, è altrettanto vero che la principale differenza tra il gioco di ruolo tradizionale e quello giapponese sia in realtà un’altra.

Se l’RPG occidentale ha sempre concesso grande libertà a chi gioca permettendogli ad esempio di personalizzare a piacimento il proprio personaggio ed interpretarlo nel modo che preferisce, i JRPG hanno invece sempre puntato su una narrazione profonda, stratificata e, ancora di maggior interesse per lo scopo dell’editoriale, lineare.

Questa particolare impostazione infatti fa sì che la storia raccontata da un JRPG sia già scritta, permettendole di essere in primis molto concreta e allo stesso tempo complessa e sfaccettata, costellata da personaggi profondi e ben caratterizzati, che spesso e volentieri crescono sia a livello di abilità che a livello psicologico di pari passo con l’avanzamento della storia.

La narrazione poi vanta un ritmo spesso ben studiato facendo un sapiente uso dei colpi di scena e rendendo l’intero intreccio coinvolgente e appassionante. Ovviamente non possiamo esimerci dal menzionare come nei JRPG venga riposta particolare attenzione anche al world building e all’ambientazione nella quale la storia si svolge.

L’RPG occidentale infatti si concentra spesso e volentieri su un unico personaggio, la (o il) protagonista del gioco, mentre il JRPG ci mette quasi sempre al comando di un intero party di personaggi e ci fa vivere il viaggio che affronteranno insieme.

Un altro aspetto che contraddistingue i JRPG è poi il loro particolare stile grafico, che si rifà spesso ai prodotti di animazione giapponese e strizza quindi l’occhio allo stile degli anime, tanto nella caratterizzazione visiva dei personaggi quanto nell’equipaggiamento che utilizzano, che risultano entrambi spesso molto originali e alle volte perfino esagerati.

Ci sarebbe ancora molto altro da dire su questo genere, anche perché nel tempo è mutato sensibilmente di pari passo con la tecnologie e l’evoluzione stessa del mercato, ma per il momento su questo fronte ci fermiamo qui.

Lo stesso termine JRPG ad esempio, come vedremo più avanti, viene oggi usato con ben più di un’accezione e assume significati diversi in base alla sensibilità di chi lo utilizza e del suo interlocutore.

Persona 5 Royal Memento
Persona 5 Royal, uno dei JRPG di maggior successo negli ultimi anni.

Breve storia dei JRPG

Prima di approfondire il sottile confine tra remake e remaster e le motivazioni principali che portano le diverse compagnie ad intraprendere questo tipo di operazioni, che oggi sono sempre più ricorrenti, facciamo un piccolo passo indietro focalizzandoci sulle opere che hanno definito le fondamenta del genere.

Se chiediamo infatti oggi ad una qualsiasi giocatrice o giocatore il primo titolo che le/gli viene in mente quando si parla di JRPG la sua risposta probabilmente potrebbe essere Final Fantasy, Dragon Quest, forse Persona o addirittura Pokémon, e non sarebbe in effetti così distante dalla realtà.

Il gioco di ruolo giapponese che ha definito le basi di questo genere è infatti probabilmente proprio Dragon Quest, che sicuramente non ne è stato il suo primissimo esponente ma che rappresenta il titolo che ha gettato le basi per tutto ciò che ne è seguito, Final Fantasy in primis.

Ovviamente ci sono centinaia di altre opere che fanno parte del genere JRPG, come Chrono Trigger, Kingdom Hearts, Golden Sun, Fire Emblem, Shin Megami Tensei, Yakuza, Star Ocean, la saga dei Tales Of o quella di Xenogears, solo per citarne alcuni tra i più famosi, e che sostanzialmente si ritrovano accomunati dalle caratteristiche descritte in precedenza.

Ho già speso molte parole in questo editoriale e a questo punto molti di voi si staranno probabilmente chiedendo come mai il sistema di combattimento non sia ancora stato trattato. Ebbene, un motivo c’è, ma non dovrete comunque attendere oltre perché è finalmente giunto il momento di parlare anche di questo tema.

Se fino ad ora infatti ho tenuto da parte questo argomento è stato principalmente per sottolineare come non sia effettivamente l’elemento principale che ha definito il genere dei JRPG, nonostante ne sia comunque una componente fondamentale.

Per diversi anni (ma continua ancora oggi in realtà) i JRPG hanno beneficiato di un sistema di combattimento a turni, evoluto e riproposto nel tempo in molteplici forme, dall’ATB di Final Fantasy alle sue forme più strategiche adottate dai Fire Emblem, fino alla splendida ibridazione tra combattimento a turni e in tempo reale introdotta in Final Fantasy VII Remake.

Questa caratteristica ha assunto un’importanza tale da essere considerata una caratteristica distintiva del genere, soprattutto perché a conti fatti ne definiva, e definisce, gran parte del gameplay. Inoltre, specialmente nei JRPG del passato, il combattimento avveniva all’interno di aree dedicate e separate dalla mappa principale in cui i personaggi venivano trasportati una volta entrati in contatto con un nemico.

Come tutte le altre caratteristiche già menzionate anche il sistema di combattimento è cambiato molto nel tempo anche se la maggior parte degli estimatori dei JRPG continua a preferire il buon vecchio sistema a turni degli anni ’80 e ’90, che ha segnato alcuni dei titoli più importanti mai prodotti e rimane scolpito ancora oggi nel cuore di molti.

Prima di parlare quindi, finalmente, di remake e remaster, ne approfitto per menzionare ed al contempo indirizzarvi verso questo splendido articolo del nostro Jgor che vi consiglio vivamente di leggere. Nel testo troverete infatti la sua personalissima classifica dei migliori 99 JRPG di sempre fino al 2022, ricca di dettagli e considerazioni sulla storia del genere.

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L’originale Final Fantasy VII, il gioco che ha consacrato i JRPG.

Remake e Remaster

Ed eccoci finalmente al cuore di questo editoriale, le riedizioni dei titoli del passato. Oggigiorno infatti, ma è iniziato ormai oltre una decina d’anni fa, il genere dei JRPG vive in un costante limbo tra nuove produzioni e operazioni di remake, o remaster, dei più grandi capolavori del passato.

Faremo quindi prima una brevissima ma doverosa spiegazione della differenza tra questi due termini, andando poi a sottolineare le diverse motivazioni che spingono le software house alla realizzazione di questo tipo di prodotti piuttosto che a concentrare tutte le loro energie sullo sviluppo di storie completamente originali.

La Remaster è un’operazione volta principalmente a svecchiare un’esperienza che ha diversi anni sulle spalle riproponendola ad un nuovo pubblico con diverse migliorie dal punto di vista della fluidità, della pulizia visiva generale e del codice sorgente, con la correzione quindi di errori e bug o comunque con piccole operazioni utili a migliorare complessivamente l’esperienza.

Questo tipo di operazione non va quindi a toccare le fondamenta del titolo originale, non ne modifica la struttura, le meccaniche, il gameplay ne tantomeno la grafica (intesa come asset, o risorse), a meno di utilizzare spesso texture più rifinite ed effetti visivi molto più pregiati.

In una remaster quindi non vengono ricreate o modificate in modo sensibile le risorse originali del titolo che, come già spiegato, viene “solamente” ottimizzato nel migliore dei modi possibili per renderlo godibile su piattaforme e schermi molto più performanti che in passato.

Un esempio di remaster può essere trovato nelle diverse compilation denominate ReMIX della serie Kingdom Hearts, che prima su PS3 e poi su PS4 hanno riproposto in un’unica console l’intera epopea della ventennale e frammentaria saga Disney – Square Enix.

Un altro è quello di Suikoden I & II HD Remaster, nuova remaster degli originali JRPG a marchio Konami che è stata recentemente rinviata.

Suikoden I & II HD Remaster rinviato ufficialmente
Suikoden I & II HD Remaster.

Il Remake è invece un’operazione di rifacimento vero e proprio di un’opera, alle volte unicamente dal punto di vista strettamente tecnico, altre andando a modificare, anche in modo sensibile, la struttura e la storia dell’opera originale, come se fosse un reboot.

In entrambi i casi comunque il remake comporta la completa ristrutturazione del gioco originale, le cui risorse, tanto grafiche quanto di design e di gameplay, vengono ricreate da zero e a livello di sviluppo vero e proprio è quasi come sviluppare un gioco totalmente nuovo.

Per fare un esempio, sempre rimanendo in casa Square Enix, il più recente Final Fantasy VII Remake è invece, come afferma a chiare lettere anche il nome, un remake, che infatti non ha semplicemente ammodernato l’originale capolavoro del 1997 ma l’ha letteralmente ricreato da zero.

Grafica all’avanguardia, un mondo molto più vivo, diversi approfondimenti sui personaggi e, non per ultimo, modifiche alla storia originale hanno contraddistinto l’operazione messa in atto da Square Enix per uni dei suoi maggiori successi di tutti i tempi.

Se infatti le remaster di Kingdom Hearts si limitavano ad ottimizzare già l’ottimo lavoro svolto dallo sviluppatore con i giochi originali, con Final Fantasy VII Remake abbiamo invece assistito ad una vera e propria reinterpretazione del grande classico dell’era PS1, che ha fatto nascere anche diversi diverbi tra i fan più accaniti dell’originale e chi invece ha premiato l’operazione compiuta dallo sviluppatore.

Ovviamente però non è solo Square Enix ad aver percorso negli ultimi anni la redditizia strada di remaster e remake, con titoli come Persona 3 Reload da parte di Atlus (potete preordinarlo tramite la pagina ufficiale Steam del gioco) o Super Mario RPG di Nintendo in arrivo giusto nei prossimi mesi.

Perché quindi vengono compiute sempre più spesso queste operazioni? Le ragioni in realtà sono diverse, e probabilmente una potreste averla già intuita dalla frase precedente, ma andiamo con ordine.

La nostalgia è un’emozione molto potente nei videogiocatori ed è quindi indubbio che uno dei motivi principali per cui vengono sviluppati questi tipi di prodotti sia la garanzia per le grandi compagnie di ricevere un importante ritorno economico a fronte di spese di sviluppo spesso contenute, soprattutto quando si parla di remaster.

Non tutto gira intorno ai soldi però, e sul piatto c’è anche da considerare la volontà di preservare opere miliari che hanno segnato un’epoca e contribuito in modo indelebile alla storia dell’intero medium e che altrimenti rischierebbero di diventare inaccessibili e potrebbero perfino essere perse per sempre.

È un po’ come studiare la storia o recuperare i vecchi capolavori cinematografici che hanno segnato la storia del cinema, perché in fin dei conti di questo si tratta.

È quindi davvero importante riproporre queste opere ad un pubblico che non le ha potute vivere al tempo della loro uscita per fare in modo che le nuove leve possano scoprire ed imparare dall’impatto che hanno avuto nel settore.

Studiare e (ri)sviluppare un titolo del passato è inoltre estremamente importante anche per gli sviluppatori stessi che spesso continuano ad apprendere dal loro passato e possono così usare questa conoscenza anche per i loro progetti futuri.

Quali che siano le motivazioni dietro queste operazioni, i JRPG sono un genere che forse più di altri continua a beneficiare di questo tipo di trattamento, da alcuni ampiamente criticato come un modo per spremere gli utenti facendogli spendere molti soldi sempre per lo stesso gioco, da altri osannato per la possibilità di poter rivivere storie senza tempo.

Persona 3 Reload
Persona 3 Reload, il remake del capolavoro Atlus atteso per Febbraio 2024.

Secondo chi scrive però non è tutto bianco o nero: non tutte le opere infatti necessitano di questo tipo di operazioni e anche il periodo che intercorre tra la pubblicazione dell’opera originale e l’eventuale remake o remaster è un fattore da tenere bene in considerazione.

Facendo un esempio più concreto ed uscendo per un attimo dal genere dei JRPG, il remake di The Last of Us, denominato Parte I, è uno di quei casi in cui forse si sarebbe potuto agire meglio, aspettando un po’ più di tempo per svilupparlo.

Intendiamoci, il titolo di Naughty Dog è uno dei miei videogiochi preferiti in assoluto ma l’opera originale, pubblicata originariamente su PS3 nel 2013, aveva meno di 10 anni sulle spalle e già a suo tempo era incredibile sotto tutti i punti di vista.

Capisco benissimo che Naughty Dog abbia voluto creare un’esperienza quanto più possibile affine con la Parte II in modo da unificare l’intero universo narrativo dell’opera, e non di meno massimizzare le entrate derivanti dalla produzione della recente serie TV di successo targata HBO.

Ma con una remaster già pubblicata nel 2014 su PS4 forse non se ne sentiva veramente l’esigenza, soprattutto considerando che il remake è stato venduto a prezzo pieno come fosse un gioco completamente nuovo, scelta che non è stata accolta con favore dal pubblico.

JRPG è un termine discriminatorio?

Dopo questa lunga, lunghissima disamina sui motivi che spingono verso la riproposizione dei JRPG del passato in chiave più o meno moderna, chiudiamo questo lungo editoriale con una riflessione su un ultimo tema, sempre legato al termine che identifica questo genere, che ha fatto molto discutere negli ultimi mesi.

Il termine JRPG infatti, soprattutto in Giappone, è percepito in modo molto diverso a seconda della sensibilità del singolo individuo. Gli sviluppatori in particolar modo si trovano spesso divisi da due percezioni del termine completamente opposte: c’è chi lo considera offensivo e chi invece lo ritiene motivo di orgoglio.

A costo di sembrare ripetitivo tirerò nuovamente in ballo Square Enix, essendo una software house di cui sono profondamente appassionato e, conseguentemente, anche parecchio informato. E in questo caso specifico lo prendo come esempio proprio perché anche all’interno dello stesso studio ci sono spesso pareri discordanti sulla questione.

Naoki Yoshida ad esempio, storico producer della saga a capo del team di Final Fantasy XIV e del più recente Final Fantasy XVI, non ha una particolare avversione verso il termine JRPG ma pochi mesi prima dell’uscita del gioco ha confessato come in Giappone il termine sia in larga parte percepito come discriminatorio.

Secondo il producer infatti è una parola utilizzata esclusivamente dai media e dal pubblico occidentale in quanto in patria questi giochi vengono definiti semplicemente RPG e che, soprattutto in passato, alle orecchie dei giapponesi sembrava quasi un modo degli occidentali di prendersi gioco di chi sviluppava quel tipo di prodotti.

Dello stesso avviso è Tetsuya Nomura, padre della saga Kingdom Hearts e autore di alcuni dei maggiori successi legati al brand di Final Fantasy, che non vede l’utilità di differenziare i giochi di ruolo giapponesi da tutti gli altri.

Di parere opposto è invece Yoshinori Kitase, a capo dell’intero brand di Final Fantasy, che non vede alcun problema nell’utilizzare questo termine, che secondo lui aiuta solo ad identificare meglio le produzioni con un certo stile rispetto ad altre.

Hideki Kamiya, ex capo di Platinum Games che ha recentemente presentato le sue dimissioni per avviare una carriera indipendente, la pensa allo stesso modo e ne è addirittura fiero.

Naoki Yoshida
Naoki Yoshida, producer di FFXIV e FFXVI.

Se posso permettermi ad una riflessione personale, cercando al contempo di guardare l’intera questione da un punto di vista puramente occidentale, credo che Kitase sia in effetti quello che tra tutti si è più avvicinato al vero significato che la maggior parte delle persone attribuisce al termine JRPG.

Penso infatti che siano davvero in pochi ad utilizzarlo in modo dispregiativo e che per la maggior parte delle persone sia probabilmente solo un modo per identificare al meglio un (sotto) genere caratterizzato da una struttura ed un modo di proporre l’esperienza ben definiti.

Io ad esempio, essendo il JRPG anche il mio genere preferito, lo utilizzo con estremo orgoglio e per far capire alle persone qual è il tipo di esperienza che preferisco nel più ampio genere dei giochi di ruolo.

Ma adesso tocca a voi, cosa ne pensate? Ha ancora senso utilizzare il termine JRPG al giorno d’oggi o si dovrebbe invece parlare semplicemente di gioco di ruolo? E quali sono i vostri titoli preferiti di questo genere? Fatemelo sapere nei commenti qui sotto!

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