Yomawari: Lost in the Dark – Recensione
Lo scenario delle cittadine rurali giapponesi, sospese tra urbanizzazione e isolamento geografico, è tra quelli che mi affascinano maggiormente. Da storie di adolescenza e mistero come Persona 4 a più intime esperienze come il mai pubblicato in occidente Boku no Natsuyasumi, questo tipo di ambientazione riesce sempre a rimanermi impresso e uno dei generi dove funziona meglio è nell’horror. Yomawari è uno dei rari videogiochi a sfruttare il fascino del folklore giapponese traslandolo a un periodo più moderno. Essendo un titolo dal gameplay estremamente limitato, punta tutto sull’atmosfera e l’interessante esplorazione.
L’ultimo capitolo della serie Yomawari: Lost in the Dark cattura alla perfezione le inquietanti leggende metropolitane (e anche alcuni fenomeni reali a dire il vero) e crea un’avventura semplice ma in grado sia di interessare che di spaventare. Non si tratta sicuramente di un gioco per tutti, ma i fan dell’horror dovrebbero dargli un’occasione.
Yomawari: Lost in the Dark si apre con un’avviso forse esagerato, ma probabilmente utile. Invita a non giocare nel caso ci si senta male fisicamente o si è fragili mentalmente. Questa è una prima indicazione (che ripeto, mi sembra esagerata, ma ne capisco il motivo) del fatto che si andranno a trattare temi pesanti. Sin dal prologo veniamo messi dinnanzi a pesanti episodi di bullismo con conseguente depressione e tendenze suicide. La scena di apertura, con la quale ci si collega ai titoli di testa, è particolarmente potente e ben gestita per quanto molto “standard” e prevedibile se si sono già giocati titoli precedenti della saga.
Il mood è molto pesante quando si analizza nel dettaglio cosa stia succedendo o si è a conoscenza delle ispirazioni del gioco, tuttavia il tutto è presentato in modo da non risultare troppo tassante. Ogni sezione di Yomawari: Lost in the Dark si pone come un insieme di enigmi sia a livello di gameplay che narrativamente, ove ogni storia contenuta che avvicinerà la protagonista al suo obiettivo è mostrata senza dare risposte chiare.
Apprezzo molto questo approccio, sia perché riesce a tenere alto l’interesse anche con un sistema di gioco estremamente limitato, sia perché permette di richiamare tematiche e situazioni normalmente difficili da trasporre in un medium visivo. Penso quindi è il più grande punto di forza di Yomawari: Lost in the Dark sia proprio questo, saper offrire qualcosa di (quasi) unico travestendo il suo horror in uno stile grafico molto intelligente e una narrazione enigmatica ma mai priva di senso. Detto ciò, non posso assolutamente negare che il content warning iniziale abbia un suo perché.
Da fan dell’horror, in particolare di origine orientale, non ho trovato niente di troppo pesante, ma è comprensibile come Yomawari: Lost in the Dark possa risultare disgustoso in alcune sezioni, specie se si è a conoscenza di cosa sta mostrando esattamente a schermo, come ad esempio il problema degli aborti nel Giappone medievale.
A questo bisogna aggiungere anche l’elemento più classico del genere horror, di cui Yomawari: Lost in the Dark fa ampio uso, parlo ovviamente dei “jumpscare”. Il gioco presenta moltissime situazioni dove prova a spaventare di colpo il giocatore, tuttavia riesce a sfruttare bene questo elemento grazie a due fattori. Il primo è la natura pseudo open world del gioco, che rende sempre imprevedibile una nuova mappa, il secondo è la generale gestione dei jumpscare che in buona parte seguono a un build up di tensione ben fatto. Purtroppo i jumpscare sono talmente frequenti, specie all’interno dei dungeon, che alcuni non hanno avuto effetto.
In particolare può succedere che il gioco ti tolga il controllo per qualche secondo prima di provare a spaventarti di colpo, rendendo la scena più tediosa che spaventosa.
Il gameplay di Yomawari: Lost in the Dark è estremamente basilare. Con una prospettiva a 3/4 si dovrà esplorare una cittadina rurale in Giappone alla ricerca di 8 ricordi che permetterebbero alla protagonista di spezzare una misteriosa maledizione. Si possono individuare quindi due distinte sezioni di gioco, la ricerca dei ricordi all’interno di una mappa aperta e i dungeon che portano all’avanzamento di trama una volta trovati. Tutto molto semplice, ma ben funzionante. Il ritmo di gioco è ben gestito, con le sue due parti che si implementano alla perfezione.
L’interazione col mondo è ancora molto poca, sebbene sia leggermente aumentata rispetto al precedente Yomawari, ma i developer han fatto un ottimo lavoro nel costruire i livelli attorno alle pochissime meccaniche.
Il maggior difetto del gioco che precede Lost in the Dark, Midnight Shadows, era nelle bossfight, estremamente tediose e noiose. In questo capitolo invece le ho apprezzate molto, non solo sono varie ma non mi han mai creato frustrazione. Se c’è una cosa che posso criticare loro è che qualcuna ha veramente pochi checkpoint, e trattandosi di enigmi può essere fastidioso rifare più e più volte delle fasi già superate.
Voglio anche dare merito alla struttura non lineare del gioco, che permette di affrontare i dungeon in ordine vario, ottima scelta nell’ottica del rendere divertente le sezioni a mappa aperta.
La storia principale di Yomawari: Lost in the Dark è forse uno dei suoi principali punti deboli. Nonostante i mini archi all’interno dei dungeon siano affascinanti, la narrativa che riguarda la protagonista Yume l’ho trovata troppo lenta nel dipanarsi. Il finale è forse un po’ troppo ostico da sbloccare, non tanto perché difficile, ma perché il gioco ti darà un suggerimento quasi inutile che a me ha personalmente mandato fuori strada, nonostante inizialmente avessi capito esattamente cosa fare.
Si tratta di un problema decisamente minore, ma questo è a sostegno di quanto generalmente Yomawari: Lost in the Dark sia un titolo solido.
Yomawari: Lost in the Dark non è un titolo per tutti e non punta a esserlo. Tra lo stile grafico particolare (che ho adorato) alle tematiche molto pesanti trattate, il titolo di Nippon Ichi è destinato a rimanere in una nicchia dell’horror ben lontana dal successo dei blockbuster zombie dell’industria. Grazie a questo però è in grado di essere un’esperienza unica e “pura”, piena di genuino horror e con un’immaginario interessante. Forse i troppi jumpscare e il gameplay basilare lo limitano un po’, ma di fronte all’avventura generale, Yomawari: Lost in the Dark non può che essere promosso. Una perla consigliata ai fan dell’horror e del folklore giapponese, specie se nostalgici del periodo d’oro del videogioco horror, quando a sistema di combattimento e spettacolo prendevano precedenza atmosfera ed esplorazione.
Pro
- Setting interessante
- Horror ben gestito
- Esteticamente unico e fedele al folklore giapponese
- Mai frustrante (rispetto ai capitoli precedenti)
- Narrativa silenziosa arguta
Contro
- Trama principale poco originale
- Sistema di gioco ancora limitato